ISBN 979-12-200-6339-5 ISBN-A 10.979.12200/63395 (2020)

Percorso turistico "Sulla via di Raimondo de' Sangro Principe di San Severo" by Francesco Paolo Pinello (come se fosse la tappa di un Grand Tour dei tempi che furono...)

Ricerche sulla devianza sociale cognitiva e sul mutamento sociale

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Questo sito-ebook va letto unitamente al volume F.P. Pinello (2020), Il Decoro. Dalla Cappella Sansevero a Palazzo Bongiorno (Tipheret, Gruppo Editoriale Bonanno, Acireale-Roma), perchè ne costituisce parte costitutiva e integrante. Chi visita il Palazzo può utilizzarlo come guida turistica online 


Blasone dei Bongiorno e brisure massoniche

L’opera del 1651 Palermo Nobile. Parte Terza degli Annali di D. Agostino Invages, fa risalire lo stemma della famiglia Bongiorno al 1249, producendone una copia del 1573.

Ciò significa che, a tale data 1573, i Bongiorno che utilizzavano questo stemma erano già nobili. Ma chi erano?  Si legge sempre nella stessa opera:

 

 

Bongiorno Famiglia Siciliana che la sua origine hebbe nella Città di Patti da Landro Bongiorno Cammariere del Normanno Re Manfredo; come habbiamo negli atti di Not. Pier Luigi Carib di Patti del 1249, appo Mug. f. 173. il quale aggiunge Passò nella Città di Palermo nel Regimento del Re Catolico nel 1490. Governò la Regia cogli uficij di Pretore, e Senatore. S’armò con un Sole e due Stelle di sopra d’oro in campo celeste: come si vede nell’Arma marm. sulla porta del Conte della Bastiglia. Ha un tumulo marm. nella Capp. Di S. Maria di Nives in S. Franc. Canniz.

La stessa notizia la ritroviamo in Il Blasone in Sicilia ossia Raccolta Araldica per V. Palizzolo Gravina Barone di Ramione, Editori Visconti & Nuber, Palermo 1871-75, Tipografia Ignazio Mirto, p. 107.

 

 

Bongiorno – Al dir d’Inveges antica famiglia siciliana e precisamente della città di Patti. – Di lei fiorì un Landro Bongiorno cameriere del re Manfredi il normanno, senatore e poscia pretore della città di Palermo. Arma: campo azzurro con un sole d’oro, accompagnato in capo da due stelle d’argento – TAV. XX.19.

Perché il blasone di famiglia dei Bongiorno di Gangi corrisponde a quello descritto da Agostino Invages? A questa domanda non sappiamo dare una risposta. Non ci siamo infatti occupati della questione, in quanto ciò non rientra nel campo delle nostre ricerche. Chi se ne è occupato, pur formulando tesi proposte con i  canoni della certezza, non ha fornito risposte soddisfacenti e adeguate. 

Quello che possiamo dire, perché invece rientra nel campo delle nostre ricerche, è che negli affreschi di Palazzo Bongiorno (affresco "Bonam Ortu Diem", 1758 ca.) troviamo la prima brisura (il Sole Rosso) del blasone, avendo come base di riferimento Agostino Invages:

Nell’opera Rime degli Accademici Industriosi di Gangi (1769) troviamo la seconda brisura (tre Stelle al posto di due) del blasone, sempre avendo come base di riferimento Agostino Invages:

Nello stemma riprodotto in quest’immagine non ci sono due, bensì tre Stelle e il Sole. Con le tre Stelle il barone ha inteso comunicare un messaggio di tipo massonico?

A Palermo ci sono mezzi di prova, dello stesso periodo dell'opera Rime degli Accademici Industriosi di Ganci (1769), che sembrano confermare l'ipotesi dell'intenzione massonica della brisura (si faccia attenzione anche alla mano nascosta del barone):

In un quadro di tema e soggetto religiosi riconducibile alla seconda metà del Settecento gangitano, che si trova oggi presso la chiesa Madrice di Gangi (parrocchia di San Nicolò: l'arciprete e i più autorevoli sacerdoti e abati di Gangi erano Accademici Industriosi, come risulta dal Catalogo pubblicato in Rime degli Accademici Industriosi del 1769), ma che potrebbe provenire da Palazzo Bongiorno (ed essere di proprietà del barone Francesco Benedetto Bongiorno), troviamo la terza brisura, chiaramente massonica. Le tre Stelle (a otto punte), senza però il Sole, formano una squadra e, al posto del Sole, c’è un compasso. Lo stemma è completato da tre montagnette di forma piramidale. In realtà il Sole potrebbe essere la testa del compasso, mentre le due aste potrebbero essere il campo irradiato dai suoi raggi di Luce. Se così fosse, l'icona, pur non essendo il blasone dei Bongiorno di Gangi, lo conterrebbe (sarebbe cioè una brisura massonica). Avremmo infatti un Sole e tre Stelle, come nella brisura pubblicata nell'opera Rime degli Accademici Industriosi di Ganci (1769), incisa sotto il ritratto del barone Francesco Benedetto Bongiorno.

Il quadro, peraltro, è un san Domenico che riceve da Maria Vergine una catena con un ciondolo (iconograficamente molto interessante). Il riferimento ai domenicani, per la seconda metà del Settecento, è molto significativo (si ricordi che Tommaso Moncada de' principi di Calvaruso era un domenicano e che i domenicani palermitani e siciliani, a quel tempo, erano giansenisti). Un san Domenico con il "Sole rosso" sul petto, come nella brisura dell'affresco di Palazzo Bongiorno "Bonam Ortu Diem" (1758 ca.), infatti, lo ritroviamo in un altro quadro che ho definito "La nave degli eretici".

 

Per il quadro "La nave degli eretici" e per il san Domenico col "Sole rosso" sul petto, si veda:

 

 https://accademiaindustriosidigangifra.jimdofree.com/la-nave-degli-eretici/

Il Sole dello stemma, senza però le Stelle, ricompare nel cenotafio dell’Abate Cataldo Lucio de’ Baroni Bongiorno, sul petto questa volta di un’aquila bicipite (Chiesa Madrice di Gangi). Qui, in realtà, le due Stelle potrebbero essere gli occhi delle due teste dell'aquila bicipite. Se così fosse, l'aquila bicipite, pur non essendo il blasone dei Bongiorno di Gangi, lo conterrebbe, avremmo infatti un Sole sormontato da due Stelle (i due occhi delle due teste dell'aquila). L'aquila pertanto sarebbe un'altra brisura, di significato alchemico-massonico.

Sul significato alchemico dell'aquila del cenotafio, si veda la pagina web di questo sito "Sacerdoti imbalsamati":

 

https://accademiaindustriosidigangifra.jimdofree.com/sacerdoti-imbalsamati/

 

Si veda anche la pagina web di questo sito "Approfondimenti: maschere funerarie"

 

https://accademiaindustriosidigangifra.jimdofree.com/approfondimenti-maschere-funerarie/

    La quarta brisura, che è da collegare al cenotafio dell'abate Cataldo Lucio Bongiorno, la troviamo nella "Casina di Cacchiamo", acquistata dal barone Francesco Benedetto Bongiorno nel 1733.

Qui chiaramente si vede che l'aquila bicipite contiene la seconda brisura del blasone dei Bongiorno (il Sole sormontato da tre Stelle a otto punte).  

 

"Casina di Cacchiamo". Foto tratta da Farinella S. (2008), "Il Palazzo dei Bongiorno a Gangi. La famiglia, il palazzo, i dipinti", Petralia Soprana (PA): Stampe & Comunicazione, p. 157
"Casina di Cacchiamo". Foto tratta da Farinella S. (2008), "Il Palazzo dei Bongiorno a Gangi. La famiglia, il palazzo, i dipinti", Petralia Soprana (PA): Stampe & Comunicazione, p. 157

Un'altra aquila bicipite si trova in un'altra proprietà del barone Francesco Benedetto Bongiorno, un ex monastero benedettino, Gangivecchio, ma qualcuno ha raschiato il blasone dei Bongiorno dal petto dell'aquila.

 

Gangivecchio (foto by Salvatore Farinella)
Gangivecchio (foto by Salvatore Farinella)

L'albero genealogico della famiglia Bongiorno

I baroni Bongiorno, Sgadari, Pottino e l’arcivescovo di Palermo legati da un titolo nobiliare: Marchesi di Eschifaldo e da un’eredità fidecommissaria.

di Francesco Paolo Pinello

 

 

In questo mio articolo non dirò niente di nuovo, in quanto mi limiterò a ripubblicare notizie già note da tempo (sin dal 1843 e dal 1925). In modo particolare, per dare onore e merito a chi per la prima volta questi dati storici ha ricercato e/o divulgato, ripubblicherò uno stralcio del volume “La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origini ai nostri giorni – Volume Terzo [1]”, di Francesco San Martino De Spucches Mario Gregorio, Cavaliere di Onore e di Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, e uno stralcio del volume “Atti della Gran Corte dei Conti delegata 1843 Primo Semestre”.

È mia abitudine, infatti, riportare e citare le fonti in modo dettagliato, preciso e puntuale.

Comincio con lo stralcio del primo volume (pp. 193 - 196).

Da questo documento, che contiene anche un albero genealogico, risulta che Francesco Benedetto Bongiorno da Ganci (1711-1767), barone di Cacchiamo Raulica e Capuano, era sposato (Mistretta, 6 gennaio 1743) con Maria Grazia Allegra (o Gallegra in alcuni documenti) da Mistretta, dei baroni di S. Giuseppe, la quale, dopo la morte del marito avvenuta il 30 gannaio 1767, nel 1792, acquistò il titolo di marchesa di Eschifaldo, per vendita fatta dalla Deputazione del Regno a Don Francesco D’Arrigo, pro persona nominanda (e cioè per persona da nominare), titolo che agli inizi del Settecento era appartenuto alla famiglia Longobardi-Gangarella e che poi, non più rivendicato (e cioè per mancanza di investiture), era ritornato alla corona. Don Francesco D’Arrigo, dopo aver acquistato il titolo dalla Deputazione del Regno, nominò marchesa di Eschifaldo Donna Maria Grazia Allegra Bongiorno.

Alla morte di Maria Grazia, il primogenito Don Michelangelo Gregorio Bongiorno Allegra, nato a Ganci l’11 novembre 1754, richiese l’investitura e divenne marchese di Eschifaldo il 17 gennaio 1799. Michelangelo Gregorio morì celibe, a Ganci, il 9 marzo 1806, senza figli e discendenti. Alla sua morte il titolo passò a suo fratello Don Antonino Carmelo Bongiorno Allegra, secondogenito del barone Francesco Benedetto Bongiorno e della marchesa Maria Grazia Allegra, il quale venne investito del titolo il 9 marzo 1807. Don Antonino Carmelo era nato a Gangi il 28 aprile 1760 e aveva sposato, il 22 ottobre 1801, Donna Gaetana Di Miceli. Anche lui morì senza figli e discendenti, a Palermo, il 21 aprile 1828. A Don Antonino Carmelo successe de jure Donna Maria Rubina Bongiorno Allegra, la quale però non curò di farsi riconoscere. Donna Maria Rubina, anch’essa figlia del barone Francesco Benedetto Bongiorno, era nata a Gangi il 6 marzo 1763 e aveva sposato Don Gaetano Allegra da Mistretta (della famiglia della madre), il 18 luglio 1787. Morì anche lei, a Palermo, il 12 dicembre 1834. Le successe de jure nel titolo di marchesa di Eschifaldo Donna Maria Caterina Bongiorno Allegra, sua unica figlia. Donna Maria Caterina era nata il 2 ottobre 1794 e aveva sposato, a Palermo, il 9 luglio 1815, Fulco Valguarnera, P.pe di Niscemi. Morì, insieme al marito, il 14 luglio 1837, a Palermo, senza lasciare figli.

È a questo punto che il titolo di marchese di Eschifaldo passa a Don Matteo Sgadari Minneci, che successe nel titolo di M.se di Eschifaldo nella qualità di più stretto parente in grado e come chiamato e sostituto di Don Michelangelo Gregorio Bongiorno Allegra. Dalla famiglia Sgadari, per matrimonio, il titolo passò anche alla famiglia Pottino.

Don Francesco Pottino Sgadari, in forza del fidecommesso disposto dal marchese di Echifaldo Don Michelangelo Gregorio Bongiorno, successe non solo nel titolo di marchese di Eschifaldo, per successione Bongiorno Sgadari, ma, con Decreto Reale del 29 maggio 1913 e con successive lettere patenti, fu riconosciuto, per la stessa successione, anche come barone di Cacchiamo Raulica e Capuano. Don Francesco Pottino Sagadari era nato a Petralia Soprana l’8 giugno 1839 da Maddalena Sgadari e dal barone Michele Pottino.

È dall’albero genealogico contenuto nel primo volume che si può rilevare che il barone Francesco Benedetto Bongiorno aveva una sorella maggiore, Giuseppa Serafina Bongiorno (1707 – 1773), che sposò il barone Matteo Sgadari da Petralia Soprana. Estintosi, con i suoi figli, come abbiamo visto, il ramo ereditario di Francesco Benedetto Bongiorno (almeno per i Bongiorno qui presi in considerazione per la successione nei titoli nobiliari), i titoli di baroni di Cacchiamo di Raulica e di Capuano e di marchesi di Eschifaldo passarono ai baroni Pottino, proprio lungo l’asse ereditario della sorella di Francesco Benedetto, Giuseppa Serafina Bongiorno Sgadari.

Dallo stralcio del secondo volume, si può ricavare che erede universale protempore, però fidecommissario, dei beni familiari della famiglia Bongiorno Gallegra (Allegra), fu l’arcivescovo di Palermo, per fidecommesso di Don Michelangelo Gregorio Bongiorno, prima, e del fratello Don Antonino Carmelo Bongiorno, marchesi di Eschifaldo e baroni di Cacchiamo Raulica e Capuano, dopo. Si tratta delle stesse disposizioni fidecommissarie in base alle quali i Pottino successero, direttamente da Don Michelangelo Gregorio Bongiorno, non sono nel titolo di marchesi di Eschifaldo ma anche in quello di baroni di Cacchiamo Raulica e Capucano.

 

«Quadro 841

Marchese di Eschifaldo (Cedolario, vol. 2466, f. 340)

1.       – Questo titolo fu concesso da Filippo V a Carlo Longobardi, con Privilegio 7 marzo 1710, esecutoriato a 22 ottobre successivo (Conserv. Libro Mercedes 1709 – 13, f. 73 retro); assunse il predicato da un feudo che possedeva il beneficato; sposò Emilia Gangarella; con Privilegio in data 18 settembre 1705, aveva ottenuto il titolo di B.ne di Eschifaldo (Conserv., di Reg. Mercedes, Reg. 457, f. 250 r.).

2.       – Don Ignazio Longobardi e Gangarella, investito, a 22 dicembre 1716, per la morte di Don Carlo, suo padre, e come suo primogenito (Conserv. Reg. invest., anno 1715 – 17, f. 136 retro); sposò Laura Calvi e Bonanni; fu Patrizio di Caltagirone nel 1728-29 e Senatore di quella città (1732.39.43.47 49.54.57).

3.       – Successe il figlio, Carlo Longobardi e Calvi, questi non prese investitura; fu Senatore di Caltagirone ed ebbe il nobile ufficio di Maestro di Piazza; non ebbe figli.

4.       – Don Nicolò Longobardi Calvi, M.se di Eschifaldo, successe a Carlo; non prese investitura; fu Senatore di Caltagirone nel 1785 e 1792; per la mancata investitura il titolo ritornò alla Corona.

5.       – Donna Maria Grazia Allegra di Mistretta, investita M.sa di Eschifaldo a 13 ottobre 1792 (Conserv., libro Invest., 1791 – 95, f. 40 retro); e ciò per vendita fatta dalla Deputazione del Regno a Don Francesco D’Arrigo, pro persona nominanda, agli atti di Not. Michele Barbieri di Palermo li 28 luglio 1792, ed atto di nomina in Not. Francesco Ragusa Potenza di Palermo li 23 agosto 1792; sposò questa Dama Don Francesco Benedetto Bongiorno; e ciò a Mistretta li 6 gennaro 1743.

6.       – Don Michelangelo Gregorio Bongiorno Allegra, investito a 17 gennaro 1799, per la morte di Maria Grazia, sua madre e quale suo primogenito; nacque questi a Ganci a 11 novembre 1754; morì ivi celibe a 9 marzo 1806;

7.       – Don Antonino Carmelo Bongiorno Allegra, investito a 9 marzo 1807, per la morte di Michelangelo Gregorio, suo fratello, senza figli e discendenti, e come figlio secondogenito di Don Francesco Benedetto Bongiorno e Maria Grazia Allegra (Conserv., libro Invest., 1806-07, f. 54); nacque a Ganci il 28 aprile 1760; sposò a 22 ottobre 1801, Donna Gaetana Di Miceli; morto senza figli a Palermo a 21 aprile 1828.

8.       – Donna Maria Rubina Bongiorno Allegra, successe de jure, per la morte di Antonino Carmelo, suo fratello, senza figli e discendenti; questa Dama non curò farsi riconoscere; nacque a Gangi il 6 marzo 1763; sposò Don Gaetano Allegra da Mistretta a 18 luglio 1787; morta in Palermo a 12 dicembre 1834.

9.       – Donna Maria Caterina Allegra Bongiorno, successe de jure nel titolo di M.se di Eschifaldo, come unica figlia di detta Maria Rubina; non curò di farsi riconoscere; nacque il 2 ottobre 1794; sposò in Palermo a 9 luglio 1815, Fulco Valguarnera, P.pe di Niscemi; morì in una al marito a 14 luglio 1837 in Palermo senza lasciare figli.

10.   – Don Matteo Sgadari Minneci, successe nel titolo di M.se di Eschifaldo, come più stretto parente in grado e come chiamato e sostituto di Michelangelo Gregorio Bongiorno di cui è parola di sopra al n. 6; l’annesso schizzo genealogico dimostra la parentela di 6° grado; nacque esso M.se Matteo a Petralia Soprana a 22 febbraro 1764; sposò Donna Antonina Di Paola di detta città, a 21 ott. 1802; morto ivi a 6 gennaro 1844; non curò farsi riconoscere.

11.   – Don Giuseppe Antonio Sgadari Di Paola, successe de jure al padre, nel titolo di M.se; non curò farsi riconoscere; nacque a Petralia Soprana il 28 febbraro 1804; sposò a 30 giugno 1832 in detta città, Donna Girolama Figlia; morto a 27 ottobre 1855; ebbe questi per sorella, Maddalena, nata a Petralia Soprana li 17 settembre 1807; sposò ivi a 13 gennaro 1834 il B.ne Michele Pottino; morta ivi a 8 luglio 1891.

12.   – Don Matteo Sgadari Figlia, successe de jure nel titolo di M.se di Eschifaldo, non curò farsi riconoscere; nacque a Petralia Soprana li 12 gennaro 1834, morì celibe ivi, a 23 febbraro 1903.

13.   – Don Francesco Pottino Sgadari, successe de jure, a per il fidecommesso disposto dal suddetto Michelangelo Gregorio Bongiorno, nel titolo di M.se di Eschifaldo; questi con Decreto Reale in data 29 maggio 1913 e successive lettere patenti, fu riconosciuto nel titolo di M.se di Eschifaldo, per successione Bongiorno Sgadari; fu altresì riconosciuto per la stessa successione, B.ne di Cacchiamo, B.ne di Raulica, B.ne di Capuano; nacque egli a Petralia Soprana li 8 giugno 1839 da Maddalena Sgadari e dal B.ne Michele Pottino di cui sopra è parola al n. 11; il M.se Francesco Pottino è l’attuale possessore ed è celibe».

 

 


[1] Avv. Francesco San Martino De Spucches Cav. di Onore e di Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni (1925) Lavoro compilato su Documenti ed atti ufficiali e legali Volume terzo da quadro 280 a quadro 408 Appendice I Ruoli di Bartolomeo Muscia del 1296 e 1408, Palermo Scuola Tip. “Boccone del povero”, 1925.

Veniamo adesso allo stralcio del secondo volume, “Atti della Gran Corte dei Conti delegata 1843 Primo Semestre” (pp. 143-150).

Da tale stralcio si ricava che i marchesi Bongiorno Gallegra (Allegra), figli del barone Francesco Benedetto e della marchesa Maria Grazia Gallegra (Allegra), avevano il titolo di secreti di Calascibetta e che i diritti loro spettanti furono però incassati dall’arcivescovo di Palermo, a causa di una serie di ritardi nei pagamenti che non consentirono loro di ottenere quanto preteso.

                    Tale stralcio inoltre permette di ricostruire la sorte dei beni dei baroni di Cacchiamo Raulica e Capuano marchesi di Eschifaldo, figli del barone Francesco Benedetto Bongiorno e della marchesa Donna Maria Grazia Gallegra (Allegra), all’estinzione del loro ramo ereditario per mancanza di discendenti (almeno per quanto riguarda i titoli nobiliari).

                    La domanda per la liquidazione delle somme spettanti per la secrezia di Calascibetta fu presentata dal marchese di Eschifaldo Don Antonino (Antonio Carmelo) Bongiorno alla Gran Corte dei Conti delegata, quando egli divenne erede universale fidecommissario del fratello Michelangelo Gregorio, il quale aveva acquistato la segrezia di Calascibetta e sua comarca grazie ai servigi di un certo Don Michelangelo Gesugrande, che aveva concluso l’affare per persona da nominare e che poi lo aveva nominato all’ufficio della secrezia. Nel testo si fa riferimento a una copia illegale di lettera patrimoniale e a due sentenze dalle quali risultava che, al fu marchese D. Michelangelo Bongiorno erano successi D. Antonino Carmelo Bongiorno e la sorella Donna Rubina Allegra Bongiorno.

                    La Gran Corte ammetteva il titolo dei medesimi fratello e sorella Bongiorno Allegra per l’ufìcio di segreto di Calascibetta e dichiarava esso ufficio appartenere alla prima delle classi espressate nello articolo 7° delle istruzioni del 17 marzo 1819, cioè alla classe degli ufici conceduti mediante lo sborso effettivo del prezzo. Stabiliva inoltre l’ammontare delle loro spettanze, fino all’abolizione dell’ufficio in seguito a provvedimento del Parlamento siciliano. La Gran Corte inoltre metteva in mora il Regio Scrivano di razione per rimettere la relazione di liquidazione pel compenso chiesto dal marchese Eschifaldo per l’ufìcio di segreto di Calascibetta. Ma quel funzionario, premettendo di non avere documenti sufficienti per soddisfare l’incarico ricevuto, trasmetteva la relazione di liquidazione negativa e non pagava.

                    Nel frattempo anche il marchese Antonio Carmelo Bongiorno Allegra moriva e l’arcivescovo di Palermo diventava, per testamento, suo erede universale pro tempore, però fidecommissario (il testamento disponeva molti legati, compresi numerosi legati di maritaggio, a cui l’arcivescovo doveva dare esecuzione), dietro però la morte dei legatarî usufruttuarî D. Ignazio Cannata, e Donna Rubina e Donna Caterina Bongiorno. Donna Rubina era nominata erede usufruttuaria di alcuni feudi. Anche l’arcivescovo, a sua volta, presentava due istanze alla Gran Corte per ottenere la liquidazione in suo capo delle somme spettanti al suo dante causa. L’arcivescovo giustificava la mancanza di documenti eccepita, a suo tempo, dal Regio Scrivano e otteneva la liquidazione delle somme richieste nella qualità di fidecommissario dell’eredità del Marchese di Eschifaldo.

 

                    «17 marzo 1845.

                    Sulla domanda del marchese D. Antonino Bongiorno [figlio del barone Francesco Benedetto], per compenso dell'uficio di segrezia di Calascibetta e sua comarca.

                    Il Consigliere commissario ha fatto il seguente rapporto.

                    Il marchese [di Eschifaldo] D. Antonino Bongiorno, con domanda presentata alla gran Corte dei conti ordinaria, ha chiesto l’ammessione del titolo per conseguire il compenso, unitamente alla di lui sorella Donna Rubina, per l’uficio di segreto di Calascibetta, e la dichiarazione della classe alla quale il di lui titolo si appartiene. I documenti prodotti sono i seguenti:

                    1° Contratto stipulato presso il regio luogotenente di protonotaro li 28 settembre 1802, col quale la regia corte vendeva, a tutti passati e senza speranza di ricompra, a D. Michelangelo Gesugrande, per la persona o persone da nominarsi, per esso col detto nome, e suoi eredi e successori in perpetuo, e con l’abonazione di D. Paolino Gesugrande, l’ufìcio di segreto della città di Calascibetta e sua comarca , con tutte le sue pertinenze e preeminenze, lucri, emolumenti, ed altro a detto ufìcio spettanti ed appartenenti, e come l’hanno goduto i possessori della detta segrezia nello stesso ulìcio dalla detta regia corte ricomprato da potere delle spettabile barone D. Matteo Gesualdo Corvaja passato possessore di detto uficio di segreto della detta città di Calascibetta, come per rivendizione stipulata in detti atti nel 1802, alla quale ec. Ad aversi dal giorno in cui saranno depositate nel banco di Palermo once 2000 a conto del capitale come appresso. E ciò per lo prezzo di once 2600, che il compratore col detto a nome si obbligò depositare nel banco di Palermo a nome della regia corte, cioè once 2000 subito a prima tavola, e le restanti once 600 fra lo giro d'un'anno da correre dal giorno del detto contratto.

                    2° Atto del 23 settembre 1802 presso notar D. Domenico La Manna, col quale il liberatario D. Michelangelo Gesugrande nominò per compratore dell’enunciata segrezia il signor D. Michelangelo Bongiorno marchese di Eschifaldo;

                    3° Una copia illegale di lettere patrimoniali del 7 ottobre 1802, nelle quali si enunciava la suddetta vendita fatta a Gesugrande per la persona da nominare; la nomina da questo ultimo fatta in favore del marchese D. Michelangelo Gregorio Bongiorno; il deposito fatto di once 2000; e la plegeria prestata per le restanti once 600; e quindi si ordinava di mettere il Bongiorno nel possesso della su mentovata segrezia di Calascibetta, con tutte le sue preeminenze, lucri, emolumenti, oneri, e pesi al detto uficio spettanti;

                    4° Copia di lettere patrimoniali del 7 luglio 1806, con le quali fu ordinato ad istanza di D. Antonino Carmelo Bongiorno, che costui, stante la morte del marchese D. Michelangelo Bongiorno fratello ed erede universale del defunto marchese, fosse riconosciuto come regio segreto proprietario della città di Calascibetta e sua comarca;

                    5° e 6° Le copie di due sentenze dei 24 aprile 1812 e 30 aprile 1814, dalle quali risulta, che al fu marchese D. Michelangelo Bongiorno successero D. Antonino Carmelo Bongiorno, e Donna Rubina Allegra Bongiorno;

                    7° Finalmente l’estratto dai registri della segreteria generale della gran Corte dei conti, da cui si rileva, che ad istanza del cavaliere D. Antonino Bongiorno e Donna Rubina di lui sorella la gran Corte dei conti nella seduta degli 11 agosto 1819 ammise il titolo dei medesimi fratello e sorella per l’ufìcio di segreto di Calascibetta, e dichiarò appartenere alla prima delle classi espressate nello articolo 7° delle istruzioni del 17 marzo 1819, cioè alla classe degli ufici conceduti mediante lo sborso effettivo del prezzo. La gran Corte in detta deliberazione ritenne la vendita del 28 settembre 1802 per lo prezzo di once 2000, mentre nel contratto si disse per once 2600; le lettere patrimoniali del 7 ottobre 1802 dichiaranti pagato il prezzo, ed il possesso ottenuto; le due sentenze dei 24 aprile 1812, e 30 aprile 1814 per la successione a favore di D. Antonino e Donna Rubina Bongiorno; e l’abolizione dell’uficio per effetto del parlamento. Con deliberazione di questa gran Corte degli 11 marzo 1842 fu messo in mora il Regio Scrivano di razione per rimettere la relazione di liquidazione pel compenso chiesto dal marchese Eschifaldo per l’ufìcio di segreto di Calascibetta; e quel funzionario, premettendo di non avere documenti sufficienti per soddisfare l’incarico ricevuto, ha trasmesso la relazione di liquidazione negativa.

                    Intanto due suppliche sono state presentate dallo eminentissimo Arcivescovo di Palermo.          Con la prima di esse ha esposto, che dietro la morte del suddetto marchese di Eschifaldo venne istituito di lui erede universale, l’Arcivescovo di questa città pro tempore; quindi ha il ricorrente con la detta qualità chiesto, che piaccia alla Corte liquidare il compenso dell’ufìcio di segreto di Calascibetta in di lui favore. Con l’altra supplica ha fatto presente, che l’ufìcio di cui si tratta fu dal marchese Eschifaldo comprato nel 1802, e che perciò l’esponente non sarebbe obbligato a giustificare che il solo fruttato di tale decennio, mentre pel decennio antecedente al 1802 trovavasi l’uficio in potere della regia corte; che intanto il fruttato dello stesso decennio dal 1802 in poi non puote dal ricorrente giustificarsi, a cagione che il libro di scrittura riguardante i diritti, censi, ed emolumenti del detto uficio, era stato sin dal 26 marzo 1827 consegnato dal suddetto marchese all’uficiale allora della regia conservatoria D. Salvatore d’Onofrio, ch’era stato incaricato dalla gran Corte dei conti ordinaria per formare la liquidazione del fruttato dell’uficio istesso; e che invano si è oggi dallo esponente fatta domanda alla regia scrivania di razione per la restituzione del detto libro, non essendosi rinvenuto fra le carte della stessa. A riparare intanto a tale mancanza di  documenti per la giustificazione del fruttato dell’uficio in parola, ha prodotto un notamento in carta invecchiata di carattere di uno dei difensori del marchese Eschifaldo da molti anni estinto, dal quale rilevasi che il fruttato dell’uficio pel decennio dal 1802 al 1812 ascese ad . . . . . . . . . . . . . once 3034,21, 15. Da cui dedotte le spese in . . . . . once 742, 2, 15 Resta l’introito di netto. . . . . . once 2292, 19. Di modo che il medio annuale di tale coacervo sarebbe in once 228, 21, 18.

                    A dimostrare in ultimo che il risultato dell’anzidetto notamento non sarebbe lontano dal giusto compenso annuale dovutogli, ha anche fatto presente, che il Tribunale del real patrimonio quando invitò nel 1802 gli attendenti alla compra dell’uficio in discorso, fece ai medesimi presente, che due salari erano annessi all’uficio medesimo nella somma complessiva di annue once ’12, 23’, 10, e che lo stato del fruttato si era in once 80 annuali, alla quale somma riunendo almeno un altro terzo e più per causa degli onesti guadagni annuali, che dovea il proprietario ricavare dai diritti dell’ulicio, si avrebbe un risultato quasi eguale a quello dato dal notamento di sopra indicato.

                    Intanto a meglio appoggiare la domanda del compenso ha prodotto i documenti seguenti:

                    1° Copia legale dell’atto di vendita del 28 settembre 1802 di sopra riferito;

                    2° Copia legale delle lettere patrimoniali del 7 ottobre 1802 di sopra cennate;

                    3° Fede di banco del 25 ottobre 1803 pei deposito di once 600 fatto dal marchese Eschifaldo a compimento di once 2600, prezzo dell’uficio in parola;

                    4° Testamento di D. Antonino Bongiorno marchese di Eschifaldo, in un’articolo del quale è istituito erede universale protempore l'Arcivescovo di Palermo, dietro però la morte dei legatarî usufruttuarî  D. Ignazio Cannata, e Donna Rubina e Donna Caterina Bongiorno. Ed in fine del detto testamento si legge anche la ratifica fattane dalla detta Donna Rubina, mediante la istituzione di erede usufruttuaria di taluni feudi in di costei favore ordinata nel testamento medesimo;

                    5° Notamento privato del fruttato dell’uficio del decennio dal 1802 al 1812;

                    6° Ricevo a firma di D. Salvatore d’ Onofrio, in cui confessa ricevere sotto il giorno 26 marzo 1827 dal marchese Eschifaldo il libro dei diritti e censi dell’uficio di cui si tratta;

                    7° Lettere patrimoniali dei 28 luglio 1803, e 3 febbrajo 1805, con cui fu ordinato pagarsi al marchese Eschifaldo qual segreto di Calascibetta due soldi annuali nella somma complessiva di once 112, 25, 10.

                    LA GRAN CORTE DEI CONTI DELEGATA PEI COMPENSAMENTI

                    Veduta la deliberazione di ammessione di titolo degli 11 agosto 1819:

                    Vedute le istruzioni per la liquidazione dei compensi del 17 marzo 1819:

                    Considerando, che dal contratto del 28 settembre 1802 risulta di essere stato venduto dalla regia corte a tutti passati, e senza speranza di ricompra, a D. Michelangelo Gesugrande, per la persona o persone da nominarsi, l’'ufìcio di segreto della città di Calascibetta e sua comarca, con tutto le sue pertinenze e preeminenze, lucri, emolumenti, ed altro al detto uficio spettanti, pel capitale di once 2600, che il compratore col detto nome si obbligò depositare nel banco di Palermo a nome della regia corte, cioè once 2000 subito a prima tavola, e le restanti once 600 fra lo giro di un anno da correre dal giorno del contratto; Considerando, che il liberatario Gesugrande per atto pubblico notarile nominò per compratore della enunciata segrezia D. Michelangelo Bongiorno marchese di Eschifaldo; Considerando, che dalla fede di banco del 25 ottobre 1803 risulta di essere state depositato in questo banco dal su nominato marchese di Eschifaldo once 600 a compimento delle once 2600, intero capitale del sopra indicato ufìcio di segreto dalla regia corte vendutogli; Considerando, che dalle lettere patrimoniali dei 28 luglio 1803, e 3 febbrajo 1805 risulta, che al segreto di Calascibetta spettavano due soldi, uno di once 4,3 annuali, e l’altro di once 38, 22, 10 annuali, in totale di once 42, 25, 10 annuali, delle quali il Tribunale del real patrimonio ordinò con dette lettere il pagamento a favore di esso segreto Bongiorno, giacché l’altra oncia 1 di cui si tratta in esse lettere, apparteneva al maestro notare segreziale; Considerando, che ai termini delle istruzioni del 17 marzo 1819 i compensi pei soldi non sono soggetti a liquidazione, e devono liquidarsi come si trovano stabiliti, e facendosi la liquidazione pei proventi si deduce il terzo, ed ai due terzi netti si aggiunge il soldo nel caso che vi sia, lo che importa che su i soldi non si deduce il terzo; Considerando, che pei proventi dell’uficio di cui si tratta non è stato prodotto alcun documento legale, e quindi manca la base per potersi eseguire liquidazione di sorta , come risulta dal rapporto fatto a 23 agosto 1842 dal Regio Scrivano di razione, il quale, rispondendo alla comunicatagli deliberazione degli 11 marzo 1842 di questa gran Corte, scrisse di non avere documenti sufficienti per soddisfare le incarico ricevuto, e perciò trasmise la relazione di liquidazione negativa; Considerando, che il marchese D. Antonino Bongiorno nel di lui testamento pubblicato a 22 aprile 1828 dispose molti legati, e verificata la morte dei legatari ordinò, che nella di lui intera eredità vi succeda lo eminentissimo Arcivescovo di Palermo che pro tempore sarà, all’oggetto che dei frutti di netto di detta eredità ne dovesse in ogni anno fare tanti legati di maritaggio di donzelle povere orfane, e figlie di galantuomini esercenti professione, e nate palermitane, a ragione di once 50 per ognuna, da doversi sortire a bussolo il giorno di S. Antonio di Padova; Censiderando infine, che lo Arcivescovo di Palermo con la qualità di erede universale fidecommissario del sopranominato marchese Bongiorno con due suppliche ha chiesto l’ ammessione del titolo, e la liquidazione del compenso, che al medesimo con detto nome spetta per l’uficio di cui si tratta, e quindi a favore dello Arcivescovo dovrà liquidarsi il compenso suddetto;

                    Per tali motivi; Intese il rapporto del Consigliere sig. barone Politi; Ascoltato il Pubblico Ministero; Conformemente alle di lui orali conclusioni; E di avviso Rimanere liquidato a favore dello Arcivescovo di Palermo, nella qualità di fidecommissario della eredità del marchese Bongiorno, il compenso dovuto per l‘abolito uficio di segreto di Calascibetta, nell’annua rendita perpetua sulla real tesoreria di Sicilia di ducati 128, 50, soggetta alle ritenute fiscali come per legge. E ciò una con gli arretrati a contare dal 1 settembre 1819, pagabili per quelli sino a dicembre 1841 con le norme dell‘articolo 15° delle sovrane risoluzioni degli 8 dicembre 1841 , salvo a dedursi le quantità ricevute a titolo di abbuonconto.

                    Così deliberato dai sigg..... Approvato con Sovrano Rescritto del 3 maggio 1843.


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