ISBN 979-12-200-6339-5 ISBN-A 10.979.12200/63395 (2020)

Percorso turistico "Sulla via di Raimondo de' Sangro principe di San Severo" by Francesco Paolo Pinello (come se fosse la tappa di un Grand Tour dei tempi che furono...)

Ricerche sulla devianza sociale cognitiva e sul mutamento sociale

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Questo sito-ebook va letto unitamente al volume F.P. Pinello (2020), Il Decoro. Dalla Cappella Sansevero a Palazzo Bongiorno (Tipheret, Gruppo Editoriale Bonanno, Acireale-Roma), perchè ne costituisce parte costitutiva e integrante. Chi visita il Palazzo può utilizzarlo come guida turistica online 


L’arcivescovo giansenista di Messina Gabriello Maria di Blasi, al secolo Giuseppe Pietro Francesco, dispose per testamento che alla sua morte fosse eretto un monumento non solo per sé, ma anche per i due suoi immediati predecessori, Tommaso Vidal y de Nin (1730-43) e Tommaso Moncada (1743-62), al secolo Francesco Costantino, "con li medaglioni e retratti di tutti e tre prelati". 

Un primo modello rappresenta tre figure femminili allegoriche, presumibilmente Fede, Speranza e Carità, reggenti ciascuna un ritratto. Ogni effigie consiste in un piccolo bassorilievo ovale contenente l’immagine frontale di un busto virile paludato con abiti sacerdotali o episcopali. L’allegoria disposta al centro della composizione, assisa sull’urna, è sovrastata da una figura acefala tenente un drappo, che ricade voluttuoso dietro le tre Virtù. L’intero apparato iconografico del manufatto si dispone sopra un piedistallo con delle colonne, definito da forme concave e convesse, che reca nella sezione centrale il titulus D.O.M. ed è sormontato da uno stemma vescovile privo di armi.

Un secondo modello, concepito in pendant col primo,  definisce una sorta di mausoleo le cui linee ascendenti, che creano una composizione piramidale decorata di obelisco, sono costruite tramite un drappo sfarzoso sorretto da un putto che, sul lato destro, lo tiene aperto a guisa di sipario. Seduta sull’urna, dal lato opposto, è una figura allegorica acefala.

Tommaso Moncada e Gabriello Maria di Blasi erano non solo Accademici Industriosi, ma anche protettori "forestieri" e mecenati dell'Accademia giansenista e protomassonica degli Industriosi di Gangi (o Ganci), che si riuniva a Palazzo Bongiorno. A fondatore l'accademia era stato il barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne era anche protettore e mecenate "locale". 

 

Sul senso dell'espressione "accademia protomassonica", rinvio al mio saggio "Il Decoro. Dalla Cappella Sansevero a Palazzo Bongiorno", Tipheret, Gruppo Editoriale Bonanno, Acireale-Roma 2020.

Chi legge il saggio breve di Guido De Blasi ed è in grado di decodificare e di comprendere certi simboli, intuirà o capirà il perché di quei modelli, di quel sepolcro e delle vicende travagliate che lo riguardarono.

 

N.B. Il fatto che questi tre arcivescovi siano messi insieme, per motivi ben precisi, che però non emergono esplicitamente ed espressamente, può aiutare a comprendere perché, dopo la morte di Gabriello Maria di Blasi l'Accademia degli Industriosi di Gangi (o Ganci) non elesse come suo protettore forestiero il suo successore alla sede arcivescovile di Messina, il quale non divenne nemmeno Accademico Industrioso. Nell'opera Rime degli Accademici Industriosi di Ganci, data alle stampe a Palermo nel 1769, si fa riferimento, come mecenate, a un "Monsignor N.N.".

"N.N." (Nomen Nescio) significa "Non conosco il Nome", come per dire che il nuovo arcivescovo di Messina per gli Accademici Industriosi di Gangi era "N.N" (nessuno). C'è da aggiungere che, nel 1767, era morto anche il barone Francesco Benedetto Bongiorno. Un'epoca si stava avviando al suo tramonto. L'Accademia degli Industriosi di Gangi era ormai acefala. 

 

 

 

by Guido De Blasi

 

Il sepolcro di Gabriele Maria di Blasi di Ignazio Marabitti. Con una nota sui perduti monumenti arcivescovili degli arcivescovi nel  Duomo di Messina*

 Archivio Storico Messinese - 98 - Fondato nel 1900, Periodico della Società Messinese di Storia Patria, Messina 2017

 

 

 

[p. 137]

 

Il 1° febbraio 1767 moriva a Messina il cinquantaduenne arcivescovo Gabriele Maria di Blasi dopo appena due anni e mezzo di episcopato in quella diocesi (1). Celebrati i solenni funerali con la consueta pompa della

 

 

 

* Contributo presentato dal socio dott. Giuseppe Campagna. Abbreviazioni: ASV = Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano; ASPflm = Roma, Archivio di S. Paolo fuori le Mura; ACM = Messina, Archivio Capitolare; ADM = Messina, Archivio Storico Diocesano; Annali = Gli Annali della città di Messina di Caio Domenico Gallo, I-IV, a cura di A. VAyOLA, Messina 1877-1882, V-VI, cont. Gaetano Oliva, Messina 1892-1893; BCP = Palermo, Biblioteca Comunale; DBI = Dizionario biografico degli italiani, Roma 1960-.

 

 

 

NOTE

(1) Gabriele Maria di Blasi, al secolo Giuseppe Pietro Francesco, nacque a Palermo il 10 marzo 1712, secondogenito di Scipione, senatore e sindaco di quella città, e Caterina Gambacorta. Fratello di Vincenzo e di Salvatore Maria e Giovanni Evangelista, anche loro benedettini; visse nella dimora avita fino al 29 marzo 1728, quando, destinato dal padre, emetteva la professione religiosa presso il monastero benedettino di S. Maria di Monreale, assumendo il nome di Gabriele Maria. Dal 1729 al 1731 fu a Roma, dove studiò teologia al S. Anselmo. Tornato in Sicilia, nel 1733 divenne lettore di teologia nel suo monastero. Il 5 marzo 1735 fu ordinato sacerdote nella chiesa di S. Cataldo a Palermo da Biagio Antonio Oloriz, vescovo titolare di Tagaste e ausiliare dell’arcivescovo di Monreale. Nominato esaminatore sinodale per la diocesi di Monreale, nel 1745 fu decano e maestro dei novizi e nel 1745 priore dei monaci nel monastero di S. Maria. Tornato a Roma, dal 1745 al 1756 fu lettore di teologia al S. Anselmo. Il 16 luglio 1751 fu nominato consultore della S. Con gregazione dei Riti per interesse del cardinale, suo maestro, Fortunato Tamburini e mantenne tale incarico fino al 1756. Dal 1754 fu priore del monastero di S. Paolo fuori le Mura. Nel

1756 fu eletto abate di Militello (Catania) nonché visitatore dei monasteri di Sicilia e nel 1760 abate di S. Maria di Monreale (e prima dignità del capitolo metropolitano di Monreale). Nonostante il non buono stato di salute cagionato da edemi, il 12 maggio 1764 fu selezionato dal sovrano per reggere l’arcidiocesi di Messina, dopo una complicata sede vacante, ricevendo la conferma da Clemente XIII il 9 luglio e l’ordinazione episcopale da Francesco

Testa, arcivescovo di Monreale, il 29 luglio successivo, in quella cattedrale. Conte stualmente, prese possesso della diocesi per procura, facendovi il suo ingresso ai primi di agosto.

 

 

 

[p. 138]

 

Sicilia del XVIII secolo, il corpo del presule fu sepolto nella cattedrale peloritana, alla base del pilastro nord ovest del transetto della cattedrale, di fronte all’altare del Cristo Risorto (allora posto tra le absidi settentrionale, ove vi è la cappella del SS. Sacramento, e centrale, con l’altare maggiore) (2).

L’arcivescovo defunto aveva disposto per testamento che alla sua morte fosse eretto un monumento non solo per sé, ma anche per i due suoi immediati predecessori sulla cattedra di Bacchilo, Tommaso Vidal y de Nin (1730-43) e Tommaso Moncada (1743-42), per accondiscendere ai desideri del Capitolo sulla necessità (e volontà) di ricordare i due pastori (3). Già nel 

 

 

 

NOTE

Vicino agli ambienti giansenisti già dal periodo romano (tale prossimità sfociò postuma nell’uso dei suoi scritti teologici nelle Institutiones Theologicae del fratello Giovanni Evangelista, poi poste all’Indice), fu pastore assai zelante, promotore di iniziative culturali e benefiche, attento alla catechesi dei fedeli (e autore di un catechismo in lingua siciliana nel 1765), e alla formazione del clero, tentando di riformare il seminario. Ciò nonostante, nel suo

breve episcopato a Messina, il Di Blasi ebbe discordie con il Capitolo, che lo tacciava di familismo, e il clero, dal quale pretendeva rigore nei costumi, nella liturgia e nella vita ecclesiastica [cfr. ASV, Reg. Lat. 2096, ff. 364r-365r; Acta Camer. 36, ff. 65v, 68v; Proc. Conc. 252, ff. 399-405; Proc. Dat. 141, f. 216r-228r; ASPflm, Mss. Misc. XV.360, f. 67r; ACP, Scritture diverse, Sede Vacante, 1760-70, ff. 87r, 89r; Capitolo, Atti capitolari 1760-69, ff. 135r-136v; BCP, ms. Hh Q 119, ff. 1r-107r, passim (= Salvatore Maria di Blasi, Autobiografia); Diario Ordinario di Roma, Roma, Chracas, 1752, p. 55; 1753, p. 55; 1754, p. 53; 1755, p. 54; 1756, p. 54; D. Gabrielis De Blasio et Gambacurta archiepiscopi Messanensis, comitis Regalbuti, baronis Boli, domini Alcariae sacrae regiae majestatis consiliarii ad clerum populumque suum epistola, Ex archiepiscopali Montis Regalis typographia, 1764; Compendio della dottrina cristiana esposta in lingua siciliana per uso della città di Messina, e sua diocesi. Introdotto per ordine di Mons. Gabriello Di Blasi, Messina, presso Francesco Gaipa impr. arcivescovale, 1764; MICHELE DI GARBO, Orazione per la morte di monsignor d. Gabriello Maria Di Blasi e Gambacurta già abate della congregazione casinese, arcivescovo di Messina recitata dal Sac. dottor d. Michele di Garbo nel sacro gregoriano Monastero di S. Martino della ScaleAggiuntivi altri monumenti, In Palermo, nella stamperia de’ SS. Apostoli in Piazza Bologni, per Gaetano Maria Bentivegna, 1768; (Giovanni Evangelista di Blasi), Institutiones theologiae in usum clericorum Panormitanae dioeceseos adornatae instante canonico D. Antonio Calvo, 1-4, Panhormi, ex typographia Rapetiana, 1774-1777; F.M. EMANUELE E GAETANI marchese di Villabianca, Diario palermitano, in Diari della Città di Palermo dal secolo XVI al XIX, a cura

di G. DI MARZO, 13, Palermo 1884, pp. 119-120, 163-164, 188-189, 287; 14, 1885, pp. 2-3; Annali, V, pp. 52-55, 61, 92-93, G. ARENAPRIMO, Diario Messinese degli anni 1766 e 1767, «Archivio storico siciliano», 20 (1895), pp. 382-441; P. STELLA, Il Giansenismo in Italia, 1-3, Roma 2006, ad indicem]. Sulla figura e l’episcopato di mons. di Blasi si rinvia ad una prossima pubblicazione dello scrivente sul personaggio.

(2) ARENAPRIMO, Diario, cit., p. 416: «Detta cassa col cadavere fu sotterrata vicino il muro del Te della Chiesa, in fronte dell’altare del Signore Resuscitato»; attualmente in quella posizione vi è il mutilo monumento Bellorado di Giovanni Battista Mazzolo e dove era l’altare del Risorto sta il sepolcro di Angelo Paino.

(3) Ibidem: «si farà il mausoleo di marmi, avendo disposto nel suo testamento Mons. di

 

 

 

 

[... ritratto, p. 139]

[p. 140]

 

1763, durante la sede vacante seguita alla morte dell’arcivescovo Moncada, fu proposto da un anonimo architetto il bozzetto di un monumento funebre dedicato agli ultimi due arcivescovi defunti, che non fu realizzato probabilmente perché non apprezzato stilisticamente e concettualmente dai canonici (4).

 

 

 

NOTE

Blasi che, a sue spese, dalla sua eredità si facesse il mausoleo di marmi con li depositi di Mons. Arcivescovo D. Tomaso Vidal, Mons. Arcivescovo Fra Tomaso Moncada, e di Mons. Arcivescovo D. Gabriele M.a di Blasi, con li medaglioni e retratti di tutti e tre prelati». Su Tommaso Vidal y de Nin, vd. [GIOVANNI GIORLANDO], Orazione funerale per l’esequie solenni di Mons. De Vidal De Nin Arcivescovo di Messina, Messina, 1745; ID., Vita dell’ill.mo

monsignor d. Tommaso De Vidal, De Nin. arcivescovo di Messina, del sacro Ordine Cisterciense; morto l’anno 1743 nel funesto contagio della medema città. Scritta da un religioso cisterciense del ven. monistero di S. Maria di Roccamadore, della provincia di Sicilia, in Napoli, 1746; Annali, IV, pp. 217-218, 334-335. Su Tommaso Moncada, vd. Annali, IV, pp. 335, 367-368; 5, pp. 9, 33, 39, 50, 70-71 e G. MELLUSI, Un’inedita cronotassi episcopale peloritana. Il ms. F.N. 204 della Biblioteca Regionale Universitaria di Messina, in «Archivio Storico Messinese», 94-95 (2013-2014) pp. 189-244:197-201.

(4) una dettagliata e polemica relazione di autore anonimo sul bozzetto in questione, datata 23 agosto 1763, è conservata in ACM, Capitolo, ‘Scritture diverse’, Sede Vacante 1500-1786, ff. 72r-74v: «Amico carissimo, per condiscendere alle vostre preghiere ho dovuto soffrire la pena di portarmi in persona a vedere il modello del deposito da erigersi ai due Arcivescovi di Messina di felice memoria Vidal e Moncada esposto pochi giorni sono in vista nella Metropolitana di questa real Dominante […]. Il modello suddetto adunque trovasi indeato nella seguente maniera. Sorge da terra una piedistallata che alla cimasa e dal basamento sembra di ordine composito, ove oltre ad una infinita di tagli, e di controtagli, di centine di angoli, e di altre leggierezze, potreste mirare nel basamento uno stesso membro in una parte ornato e nell’altra ignudo, e nella cimasa entro a due medesime parallele un altro andar qualche / Proteo, canciando figura ora di orolo ed ora di gola diritta, qui non v’è iscrizione, né sito pella medesima, e solamente in mezzo a piedistalli che restano a’ fianchi, e che fan mostra di sostenere due statue v’ha potuto ricapare l’ingegnoso architetto tanto di sito libero da risalti, quanto basti a collocarvi le due armi de due difonti prelati. Sovra di questa è piantata una pilastrata dorica mostruosamente rozza con una base d’invenzione ed un capitello composito intrigato con delle crocette cascianti e con delle testicciole di capretto scorciato, che formano la più ridicola vista del mondo. I suddetti pilastri son quattro, e due, che fan mostra di lor suso il rifaccio dell’arco il quale per altro resta in vacante, ànno al di sopra la loro corona, gli altri due che caminano a seconda d’una nicchia, che fra i medesimi resta racchiusa, ne rimangono senza. Nel rifascio poi dell’arco, che come dissi, non pianta, si veggono ricorrere a puntino tutti li membri della Cornice per fino al dentello, ed alcuni con invenzione non mai praticata si mirano andare a ritrovare i membri della cornice del pilastro ed unirsi stranamente con quelle; né debbo tralasciar di dirvi che al lato dell’arco suddetto spuntan due zoccoletti senza cimasa, sovra de quali son piantate due profumiere o piuttosto due manichi di ventaglio da donna […]. Sotto la nicchia dunque vi sono alcuni gradili sovra de quali è collocata un’urna sostenuta da quattro piedi che tanto alla struttura quanto al colore rassomigliano a que’ dei’ galli d’India, e l’urna è d’un taglio e d’una modinatura così sciocca, che Voi piuttosto la credereste una zuppiera alla moda; a piè di questa vi son collocati due 

 

 

 

[p. 141]

 

Questo mausoleo intitolato a una triplice memoria però non fu mai realizzato: non siamo in grado di sapere perché l’esecutore testamentario dell’arcivescovo Gabriele, il fratello Salvatore Maria, diede disposizioni diverse da quelle del testatore, sebbene si possa ipotizzare che tale scelta sia dovuta ad alcuni contenziosi che sorsero tra gli eredi del defunto e il Capitolo (5).

Tuttavia in un primo momento il triplice mausoleo fu commissionato dai fratelli Salvatore Maria e Giovanni Evangelista di Blasi (6), o quantomeno a loro proposto. Tra i bozzetti di terracotta policroma di Ignazio Marabitti (7)

 

 

 

NOTE

putti, che rassembran due rospi usciti allor dalla tana a pigliar fresco, e tengon ritti a piombo uno la croce e l’altro il pastorale che par giusto che lo vogliono battere in testa a chi osasse accostarvi. Sovra dell’urna poi sta a sedere una donna / che ognuno la prenderebbe per una venditrice di gessi, che stia a sedere entro la porta della sua bottega con alcune mostre in mano della sua mercanzia per allettare i passagieri a far ispesa. Ora indovinate chi è questa?

Quest’è la Fede, che regge due medaglioni co’ ritratti de due difonti prelati, quasi fussero due catecumeni conquistati da essa, e ritenuti alla sua ubbidienza fino alla morte, e non due figli amorosi nati e nutriti in mezzo al suo grembo; essa porta ancora una croce a traverso e colla mano sinistra oltre al medaglione sostiene anche un Calice […]. Alla destra di questa è stata situata un’altra statua colla quale si è preteso di esprimere la Bontà (dico che si è preteso, ma che però realmente non si è espressa). Quest’appunto è una di quelle imagini alle quali se si toglie uno di que’ geroglifici che l’accompagnano, vi vuol dopo un cartello colla spiegazione per sapere che cosa significhi […]. A buon conto co’ soli pellicani in mano come vien vago presentata nel nostro mausoleo, io non la distinguo punto da una fantesca di cucina che porta in mano un arrosto di merlassi, o faggiani, od una covata di pulcini o colombi domestici […]. Coll’altra figura che resta al lato opposto si è voluto rappresentare lo Zelo colla

dalmatica, e che con una mano sostiene un flagello ed una lanterna con l’altra; qual bizzaria sia stata questa di vestirlo con la dalmatica non si sa intendere […]. Sibbene la figura della Morte che serve per finimento di tutta l’opera non è in un’azione migliore, né è stata mossa con più decoro e dignità di tutte le altre anzidette; ella sta a sedere sovra / d’una palla, che rappresenta il mondo, e porta in mano un libro dove ha scritto “Thoma de Vidal, et Tomas de Moncada”. […]». Dalle poche e criptiche informazioni non è stato possibile individuare né i corrispondenti né l’autore del modellino.

(5) ARENAPRIMO, Diario, cit., pp. 390, 411-412, 417-418. Parte della documentazione sulla contesa tra eredi e Capitolo si trova in ACM, Capitolo, ‘Atti sciolti’, 1759-1782. 

(6) Per Salvatore Maria e Giovanni Evangelista di Blasi, vd. B.M. BISCIONE, Di Blasi, Salvatore Maria, in DBI, 39, 1991, pp. 693-694; C. CASSANI, Di Blasi, Giovanni Evangelista, in DBI, 39, 1991, pp. 690-693.

(7) Su Ignazio Marabitti (1719-97) vd.: R. GIUDICE, Francesco Ignazio Marabitti, scultore siciliano del XVIII secolo, Palermo 1937; D. MALIGNAGGI, Ignazio Marabitti, in «Storia dell’Arte», 19 (1973), pp. 5-61; T. FITTIPALDI, Sculture inedite di Ignazio Marabitti, in «Napoli Nobilissima», 3 sr., 15 (1976), pp. 65-105; D. GARSTANG, Ignazio Marabitti and

Patrician Tombs in Eighteenth-Century Palermo, in «Antologia di Belle Arti», 63-66 (2003), (= Il Settecento, 3), pp. 7-30; N. FINOCCHIO, Palermo. I monumenti funebri del viceré Eustachio Viefuille di Ignazio Marabitti, in «Annali della Pontificia Insigne Accademia di

 

 

 

[p. 142]

 

della Galleria regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo provenienti dalla seconda stanza dell’antico museo dell’abbazia di S. Martino delle Scale (8), ove risiedevano i due di Blasi, e pervenuti nel 1870 con la soppressione degli ordini religiosi al Museo Nazionale di Palermo, se ne annovera uno che raffigura un monumento funebre per tre prelati.

Il modello rappresenta tre figure femminili allegoriche, presumibilmente Fede, Speranza e Carità, reggenti ciascuna un ritratto; ogni effigie consiste in un piccolo bassorilievo ovale contenente l’immagine frontale di un

busto virile paludato con abiti sacerdotali o episcopali (è infatti possibile individuare un pallio nel ritratto collocato nel lato destro dell’opera).

L’allegoria disposta al centro della composizione, assisa sull’urna, è sovrastata da una figura acefala tenente un drappo, che ricade voluttuoso dietro le tre Virtù. L’intero apparato iconografico del manufatto si dispone sopra

un piedistallo, definito da forme concave e convesse, che reca nella sezione centrale il titulus D.O.M. ed è sormontato da uno stemma vescovile privo di armi (9).

Questo bozzetto, che presenta «una decisa cadenza rococò ed un accentuato effetto scenografico» (10), va attribuito alla volontà e alla commissione dei di Blasi. Esso infatti è stato concepito in pendant col secondo bozzetto di creta proveniente sempre dallo studio del Marabitti, che corrisponde al monumento che fu realizzato nella cattedrale di Messina (11). Questa terracotta definisce una sorta di mausoleo di grande effetto scenografico, le

cui linee ascendenti, che creano una composizione piramidale, sono costruite tramite un drappo sfarzoso sorretto da un putto che, sul lato destro, lo tiene aperto a guisa di sipario. Seduta sull’urna, dal lato opposto, è una figura allegorica acefala. La terracotta, inoltre, non reca il ritratto del personag-

 

 

 

NOTE

Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon», 12 (2012), pp. 331-347 e le voci F. PIPITONE, Francesco Ignazio Marabitti, in Dizionario degli artisti siciliani, a cura di L. SARULLO, 3, Scultura, a cura di B. PATERA, Palermo 1994, pp. 205-208; P. RuSSO, Marabitti, Francesco Ignazio, in DBI, 69, 2007, pp. 367-369.

(8) Sul museo martiniano vd. R. EQUIZZI, Palermo. San Martino delle Scale. La collezione archeologica. Storia della collezione e catalogo della ceramica, Roma 2006 (Studia Archaeologica, 148), pp. 37-76; Wunderkammer siciliana. Alle origini del museo perduto, Catalogo della mostra, Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, 11 aprile 2001-31 marzo 2002, a cura di V. ABBATE, Napoli 2001.

(9) D. MALIGNAGGI, Marabitti per San Martino delle Scale, in Wunderkammer siciliana, cit., pp. 289-291: 91.

(10) Il bozzetto (creta su asse di legno, 55x80 cm) è conservato nella Galleria regionale della Sicilia a Palermo, inv. 4908. Su di esso vd. ibidem; FITTIPALDI, Sculture inedite, cit., pp. 76-77 e GARSTANG, Ignazio Marabitti, cit., p. 19.

 

 

 

 

[... immagini, p. 143]

[p. 144]

 

gio cui il monumento era destinato, così come la cornice scolpita dello stemma è priva dell’indicazione araldica; il basamento rettangolare era destinato a contenere una epigrafe (12). Il sepolcro fu quindi commissionato al

Marabitti sulla base di questo secondo progetto dal fratello Salvatore Maria per la somma di 500 ducati, attinti dall’eredità di monsignor di Blasi (13).

L’esecuzione del sepolcro si protrasse per ben cinque anni dalla morte dell’arcivescovo, e fu inaugurato nella cattedrale di Messina solo il 9 marzo 1772. Ricaviamo una dettagliatissima descrizione da una lettera inviata da

un anonimo corrispondente messinese alla ‘redazione’ del periodico Notizie de’ Letterati, curato dai due fratelli di Blasi, proprio in occasione del suo disvelamento (14).

Il sepolcro aveva struttura piramidale (15): alla base vi era una fascia di marmo nero venato di giallo di Portovenere, quindi due gradini di marmo giallo di Verona, su cui poggiava una gradinata rivestita di breccia medicea paonazza, riquadrata di marmo bianco, al cui interno vi era l’iscrizione celebrativa.

La cimasa della struttura era sempre di giallo di Verona. Sopra la gradinata stava l’urna a tutto rilievo in bardiglio di Genova e incorniciata da fregi in giallo di Verona, retta da quattro grosse zampe di leone, anch’esse del medesimo giallo.

Dietro l’urna si ergeva, addossato alla parete, un obelisco piramidale in marmo verde di Gimigliano, con fasce ancora in giallo di Verona. Sopra l’urna era collocata, su un cuscino ornato di fiocchi e trine di metallo dorato, la

statua in marmo bianco dell’arcivescovo vestito pontificalmente e in atto di venerazione. Alla destra dell’urna, una Carità era raffigurata assisa sulla gradinata nell’atto di allattare un bambino, «rivolta in mesto atteggiamento al

prelato»; alla sinistra stavano due putti, uno seduto con la mitria in mano e attorno al quale erano la croce pettorale e il bastone pastorale, in metallo dorato, disposti casualmente sull’urna, e uno in piedi che, con in mano il pallio,

era raffigurato nell’atto di sollevare un panno di marmo bianco, che avvolgeva disordinatamente l’obelisco. Alla cima del drappo era collocato un putto, figura del Genio della buona Fama, che con una mano e con le spalle reggeva il panno mentre con l’altra mano teneva una tromba di metallo dorato.

 

 

 

NOTE

(11) Creta su asse di legno, 70x30 cm, Palermo, Galleria regionale della Sicilia, inv. 4915.

(12) MALIGNAGGI, Marabitti, cit., p. 290.

(13) DI BLASI, Autobiografia, cit., f. 24v.

(14) Sulle Notizie de’ Letterati, vd. M. VERGA, Isidoro Bianchi e le “Notizie de’ letterati”, in «Studi Settecenteschi», 16 (1996), pp. 249-265.

(15) «Notizie de’ letterati», 3 (1772), coll. 199-202.

 

 

 

[p. 145]

 

Lo stemma del prelato (16), scolpito in un unico pezzo di marmo bianco di Carrara, stava sullo stesso piano dell’urna, al centro, sopra la gradinata.

L’iscrizione, come accennato al centro della gradinata, fu composta dall’arcivescovo di Monreale Francesco Maria Testa, amico del defunto (17).

Il mausoleo, che misurava circa 5,75 m di altezza e 2,40 m di larghezza, per una profondità di circa 70 cm (18), fu collocato vicino al luogo della sepoltura: da qui la scelta della posa orante del simulacro dell’arcivescovo, con lo sguardo volto verso l’Eucarestia e l’icona della Madonna della Lettera posta al centro del baldacchino (19).

Il monumento stette in questa posizione solo per undici anni; a seguito del terremoto del 5 febbraio 1783 e della susseguente ristrutturazione neoclassica del transetto del duomo, con l’erezione delle semicolonne adagiate

ai pilastri per reggere la cupola in cannucciato, esso fu trasferito all’inizio della navata meridionale, adiacente tra la porta della Banca Vecchia (detta di S. Placido) e l’altare di S. Gallo (ora di S. Giovanni Battista) (20).

Il terremoto del 28 dicembre 1908 causò pochi danni al sepolcro di Blasi.

 

 

 

NOTE

(16) Partito: nel primo (Di Blasi) d’azzurro alla fascia d’oro, accompagnata in capo da una cometa ondeggiante in banda, e in punta da due stelle, il tutto d’oro; nel secondo (Gambacorta) d’azzurro al leone d’argento caricato da quattro fasce di nero, col capo cucito di rosso, caricato da una croce ancorata d’argento (vd. G.B. DI CROLLALANZA, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane…, 1, Pisa 1896, pp. 138, 452).

(17) Su Francesco Maria Testa (1704-73), originario di Nicosia, allora facente parte della diocesi di Messina, vd. F. DI NATALE, Francesco Testa il «Bossuet siciliano». Chiesa e catechesi a Monreale nel Settecento, Messina 2006; A. CRISANTINO, Magnificenza e decoro. L’arcivescovo di Monreale Francesco Testa, l’architettura e le arti (1748-1773), Palermo 2012. L’autografo dell’epitaffio è conservato in BCP, ms. Qq H 99, XXXVI, Inscriptiones variae: D. O. M. / GABRIEL MARIA DE BLASIO ET GAMBACURTA / PATRITIUS PANOR MITANUS / EX CASINENSIUM PRESULE MESSANENSIUM ARCHIEPISCOPUS / VIR INGENIO DOCTRINA MORIBUS / ADEO PROBATUS OMNIBUS CARUSQUE / UT PONTIFEX VITA FUNCTUS AMPLISSIMAE SUE PROVINCIAE / MAGNUM SUI RELIQUERIT DESIDERIUM / ET PER BREVE QUAMVIS TEMPUS ITA PONTIFICIUM MUNUS EXPLEVIT / UT NIHIL CULTUS DISCIPLINAEQUE / SACRUM ORDINEM POPULUMQUE / TEMPLA DECORIS OPIS PAUPERES / AB EO NON SEPARARE POSSE / OMNIBUS PERSUASUM FUERIT. / OBIIT KALENDIS FEBRUARI ANNO MDCCLXVII / TERTIO SUI PONTIFICATUS ANNO / AETATIS VERO LIV.

(18) Le misure sono ricavate dalla tavola progettuale di Francesco Valenti, Progetto di ricostruzione della cattedrale di Messina, Navata sud, china su carta, 1922, Messina, Archivio del Museo interdisciplinare Maria Accascina.

(19) Ibidem e «Notizie de’ Letterati», cit., col. 199.

(20) Sulla ristrutturazione della cattedrale dopo il 1783, vd. G. GIORGIANNI, Messina architetture e restauri. Il Duomo e il suo contesto, Messina, a cura dell’A., 1999, passim.

 

 

 

[p. 146]

 

Nella piccola fotografia di R. Tarquiny pubblicata nel primo numero dell’Illustrazione Italiana dell’annata 1914, e quindi riconducibile ad una delle prime fasi di cantierizzazione della cattedrale, si vede che la parte alta del monumento era smembrata, con i panneggi e i putti staccati dal muro e dal fondale, mentre le statue del defunto e della Carità, tolte dalla loro naturale posizione, erano poggiate a terra. Danneggiato risultava il sarcofago, con la mancanza del rivestimento nella parte destra e il disallineamento delle componenti del coperchio. Delle due statue, solo quella della Carità riportava danni notevoli, come si evince da un’altra foto: la perdita della testa del putto allattato e il crollo di diverse parti dei panneggi; inoltre non c’era più traccia degli elementi metallici (21).

Il sepolcro fu quindi restaurato e mantenuto nella stessa posizione in cui si trovava al momento del disastro, così come previsto dal progetto di Francesco Valenti per la ricostruzione del duomo e dagli stati di avanzamento dei lavori (22).

Quando la notte del 13 giugno 1943 la cattedrale fu devasta dal fuoco degli spezzoni incendiari lanciati dalle forze aeree angloamericane, il mausoleo a monsignor di Blasi fu danneggiato ma non del tutto distrutto: il basamento era integro, il sarcofago pesantemente danneggiato, così come la statua del vescovo, di cui rimaneva solo parte del corpo, calcinata; la statua della Carità non esisteva più, mentre la piramide fondale, parte dei drappi che la circondavano e i putti alla sinistra e alla sommità di essa erano in buone condizioni (23).

Tuttavia anch’esso, come l’apostolato, il pergamo, altri sepolcri e altari, fu vittima del folle e meschino raptus distruttore perpetrato da quegli uomini di Chiesa e da quegli amministratori e funzionari loro compiacenti, i quali, con la giustificazione di una ricostruzione celere del maggior tempio messinese, decisero di svilire il duomo. La cattedrale fu profanata con il mero abbattimento delle vestigia lese, ma pur sempre restaurabili – come

testimoniano diverse fonti scritte e visive coeve all’incendio – o con la loro cessione in cambio di somme di denaro finalizzate a quella squallida e fred-

 

 

 

NOTE

(21) «L’Illustrazione italiana», 44/1 (4 gennaio 1914), p. 10.

(22) Vd. supra, nt. 18 e ADM, Cattedrale, 1, 2/3d (Progetto spiegativo delle somme a disposizione per i lavori in economia occorrenti, 15 luglio 1923), in cui sono previste lire 40.000 per il restauro dei monumenti di Blasi e Migliaccio, e ibidem, 1, 2/6g (10° stato di avanzamento, 15 maggio 1929), in cui è riportata l’esecuzione dei 9/10 dei lavori sui citati monumenti, con una spesa complessiva di lire 36.000.

(23) Vd. G. CHILLE' - G. MELLUSI, Le distruzioni della Cattedrale di Messina nella Collezione fotografica di Arturo Papali, Messina 2017, p. 28. 

 

 

 

[... immagini, pp. 147-148]

 

[p. 149]

 

da sostituzione spacciata per mirabile ricostruzione negli anni a venire (24). Di tutto il mausoleo solo il capo della statua di mons. di Blasi è ancora custodito nei depositi della cattedrale: esso (h. 28 cm) si presenta in discrete

condizioni di conservazione ed è riconoscibile non tanto per il tramite delle immagini d’epoca, seppure esse siano di grande ausilio per l’identificazione fisionomica del volto, quanto dal singolare orientamento delle pupille, in cui l’occhio destro è rivolto verso destra e il sinistro verso il dritto (indirizzati, come appunto reso, ai due altari di fronte). è inoltre possibile riscontrare nel ritratto il naturalismo della «vera figura» del prelato, tipico della produzione scultorea marabittiana, così come avviene in altri monumenti funebri palermitani.

L’intero monumento, come già evidenziato da Teodoro Fittipaldi circa il bozzetto, era stilisticamente legato «ad un severo classicismo di ascendenza romana, di impianto monumentale ma compassato», affine nell’impostazione

e negli elementi decorativi e ornamentali, quale la piramide sullo sfondo, ai monumenti dei fratelli Domenico e Michele Scavo nella chiesa di S. Domenico (post 1773) e a quello di Giuseppe Giurato in S. Ninfa dei Crociferi (1772), tutti e tre a Palermo (25), oltre che ai disegni progettuali del Marabitti conservati presso la Galleria regionale della Sicilia di Palermo forse riferibili al monumento messinese (26). La composizione asimmetrica delle figure e l’abbondanza di panneggi richiama i monumenti antecedenti al Viceré de Lavieufille e a Carlo Filippo Cottone nella chiesa dei Cappuccini di Palermo (27): nel sepolcro di Blasi invece il medaglione raf-

 

 

 

NOTE

(24) Sulle distruzioni postbelliche del Duomo di Messina vd. soprattutto ibidem: il recentissimo studio di Giovan Giuseppe Mellusi e Giampaolo Chillè, fornisce finalmente un quadro della reale consistenza dei danni occorsi nel 1943 e ripercorre con un solido supporto documentale le tristi vicende della ricostruzione. Vd. anche A. DILLON, Danni di guerra e tutela dei monumenti nella provincia della Sicilia orientale, in «Bollettino storico catanese», 43 (1944), pp. 120-133; F. CHILLEMI, La distruzione del patrimonio architettonico preterremoto, in Messina negli anni Quaranta e Cinquanta. Tra continuità e mutamento alla ricerca di una problematica identità, a cura di A. BAGLIO - S. BOTTARI, 1, Messina 1999, pp. 391-402, part. pp. 393-395, ove si cita un’inedita memoria del 1950 inerente la cattedrale di Giuseppe Mallandrino, Ispettore ai Monumenti a Messina nel periodo bellico; G. MUSOLINO, Il Duomo di Messina: sopravvivenze e ricostruzioni, in «Città & territorio. Documenti dell’Amministrazione comunale di Messina», 12/2-3 (2002), pp. 16-21, in cui ci si basa anche sulle relazioni, pure esse inedite, dell’allora custode del Duomo Giuseppe Mannina.

(25) FITTIPALDI, Sculture inedite, cit., pp. 77-78.

(26) Ibidem.

(27) FINOCCHIO, Palermo, cit.

 

 

 

[... pp. 150-152, immagini]

[p. 153]

 

 

figurante il defunto è sostituito dalla statua del vescovo orante, quasi a richiamare lo schema berniniano della tomba di Alessandro VII (28). Ispirata a Bernini risultava la qualità formale delle figure, così come evidenziato da

Elvira Natoli, la quale, riferendosi alla morbida figura della Carità, segnalava come l’immagine fosse «costruita con pittorici effetti di luce nei panneggi che fluiscono in profili di linee serpentinate» e con volto e portamento più

realistici. L’iconografia delle allegorie, inoltre, non risulta strettamente vincolata all’opera di Cesare Ripa (29): anche questa configurazione segnala una cifra distintiva della produzione marabittiana.

La critica locale messinese ha pressoché sempre apprezzato il monumento di Blasi nel secolo e mezzo di esistenza: Giuseppe Grosso Cacopardo lo definisce «opera assai commendabile» (30), così come Giuseppe La Farina (31),

mentre per Gaetano Oliva è di mediocre fattura (32). Antonio Crisafulli Minutolo lo reputa uno dei soli tre monumenti funebri della cattedrale degni di lode (33), Gaetano La Corte Cailler ammira soprattutto «la carità in atto di allevare un bambino, pezzo classico, sorprendente per armonia di parti ed espressione grandissima» (34), infine Stefano Bottari loda l’insieme per la morbidezza del modellato e la resa figurativa (35).

 

 

 

NOTE

(28) E. NATOLI, Un’opera di Marabitti a Messina, in Scritti in onore di Vittorio di Paola, Messina 1985, pp. 251-255: 254.

(29) Ibidem.

(30) [G. GROSSO CACOPARDO], Guida per la città di Messina…, Siracusa, presso Giuseppe Pappalardo, 1826, p. 47, in cui è aggiunto che «la figura della carità che allatta un bambino è un pezzo classico».

(31) G. LA FARINA, Messina e i suoi monumenti, Messina, G. Fiumara, 1840, p. 86: «il gusto è ancora quello del XVIII secolo; ma l’esecuzione è commendevole».

(32) Annali, V, p. 93.

(33) A. CRISAFULLI MINUTOLO, Sulla lettera scritta da Maria ai messinesi…, Messina, Stamperia di G. Pappalardo, 1842, p. 21.

(34) G. LA CORTE CAILLER, Del Duomo di Messina. Memoria artistica, a cura di G. MOLONIA, Messina 1997, p. 19: «[…] e quindi l’alto sepolcro ove riposano gli avanzi di Monsignor Gabriele Di Blasi, morto nel 1767. L’Arcivescovo, inginocchiato sopra un piedistallo poggiante sull’arca, ha laterali due angeli in atto di spiegar drappi. un altro angelo sta sul lato sinistro dell’urna; alla parte opposta una statua in marmo bianco esprimente la carità in atto di allevare un bambino, pezzo classico, sorprendente per armonia di parti ed espressione grandissima. In frontespizio dell’arca e poggiante sulla lapide del basamento, vedesi lo stemma dell’Arcivescovo. Tutto è commendevole esecuzione di Ignazio Marabitti, Palermitano, lavorato sul gusto del secolo XVII [sic]».

(35) BOTTARI, Il Duomo cit., p. 47: «L’opera più significativa del ’700 è data dal monumento dell’Arcivescovo Gabriele Maria De Blasio, eseguito nel 1757 [sic] dallo scultore palermitano Ignazio Marabitti. Su uno svelto basamento, decorato nel fronte da una lapide esaltante l’ingegno, le virtù ed i costumi dell’estinto, si erge il sarcofago, fronteggiato dalla gran-

 

 

 

[p. 154]

 

***

La vetusta e pia usanza della sepoltura dei pastori nella propria sede (solo recentemente codificata nel Cerimoniale Episcoporum) (36) appare ora nel duomo di Messina come un accademico campionario di epoche e testimonianza

del più recente passato. Tuttavia come il monumento a monsignor di Blasi, ve ne furono altri tra quelli dedicati agli arcivescovi che sparirono dalla cattedrale nell’ultimo secolo e mezzo (37). Quasi tutti i prelati morti in diocesi dai tempi del Concilio di Trento furono sepolti in cattedrale, ma solo pochi di essi ebbero un monumento e ancor meno ne son sopravvissuti (38).

 

 

 

NOTE

de insegna nobiliare della casata. Su di esso, come su di un podio, è inginocchiato l’Arcivescovo, vestito dei sacri indumenti, resi con tanta morbidezza da sembrar modellati nello stucco. Da un lato si ammira la figura della Vergine col Bambino; nel fondo tre putti, plasmati con grazia e morbidezza, reggono svolazzanti panneggi. Il Marabitti, educato in un ambiente nel quale la tradizione del grande Serpotta era ancora viva, manifesta qui, come in tutte le opere sparse nell’isola, – frutto di un’attività intensa mai venuta meno nel lungo periodo della sua vita (1719-97) – vivaci doti di modellatore e raffinato senso decorativo. Notevoli sono infatti la viva figura del De Blasio, quella aerea della Vergine - vicina ad alcuni modelli serpottiani – ed ancor più le figure dei putti, che ricordano, nella vivacità della modellazione, nella dolcezza e nella candida ingenuità fermata nei volti e negli svolazzanti

morbidi drappeggi, quelle dell’insigne decoratore degli oratorii palermitani».

(36) Sull’uso delle sepolture dei vescovi nelle proprie cattedrali vd. il recente L’évêque, l’image et la mort. Identité et mémoire au Moyen Âge, a cura di. N. Bock et alii, Roma 2014; Cerimoniale dei Vescovi (1984), c. 1164: «Il corpo del vescovo diocesano defunto sia seppellito in chiesa, che di norma sia la chiesa cattedrale della sua diocesi. Il vescovo che ha rinunciato alla sede, sia seppellito nella chiesa cattedrale della sua ultima sede, a meno che egli non abbia predisposto diversamente».

(37) Vd. CHILLEMI, Il centro storico cit., passim e F. MALASPINA, La Cattedrale di MessinaNelle vicende della città e nella spiritualità del popolo, Messina 2008.

(38) Furono sepolti in cattedrale senza monumento, presumibilmente sotto il pavimento prebellico ora coperto dal nuovo, i già citati Tommaso Moncada e Tommaso Vidal, Scipione Ardoino Alcontres (1771-78), Nicolò Ciafaglione (1780-89), Francesco Paolo Perremuto (1790-91) (Annali, 4, p. 334; 5, pp. 50, 71, 126, 173,178, 216) e Gaetano Maria Garrasi (1792-1817), di cui era presente una lapide sepolcrale nei pressi dell’altare di S. Gallo, di fianco al monumento di Blasi (vd. ROL, Guida, cit., p. 24). Antonio Lombardo (1585-97) fu sepolto prima nella chiesa di S. Croce di Messina e poi traslato in un monumento disegnato da jacopo del Duca nella chiesa di S. Tommaso di Canterbury di Marsala, sua città natale, vd. G. CUSUMANO, Gli arazzi della Chiesa Madre di Marsala, in Museo degli arazzi di Marsala,

Palermo 1984, pp. 19-61: 35-36 e G. ALAGNA, Marsala. Il territorio, Marsala 1998, p. 50. Simone Carafa (1647-76) e Giuseppe Cicala (1678-85), furono sepolti nella chiesa messinese dell’Annunziata dei Teatini, vd. Annali, III, pp. 421-422, 435; CHILLEMI, Messina. Un centro storico distrutto, Messina 2014, pp. 146-149, 294; sul monumento a Simone Carafa, opera di Innocenzo Mangani, conservato smembrato nei depositi del Museo regionale di Messina, vd.

A. MIGLIORATO, Proposte per Innocenzo Mangani, capofila della scultura barocca a Messina

 

 

 

[p. 155]

 

L’arcivescovo Giovanni Retana (1569-1582) (39) ebbe un monumento opera di Rinaldo Bonanno posto nella parete settentrionale del transetto accanto alla cappella della Pietà, composto da sarcofago su alto basamento

sovrastato da una nicchia col busto, ai cui lati stavano due putti ad altorilievo; di esso, distrutto dopo il 1943, restano solo i due rilevi (40).

A Francesco Velardes de la Cuenca, arcivescovo dal 1599 al 1604 (41), fu eretto un sepolcro dalle forme simili a quello di monsignor Retana nella parete sud del transetto: composto da sarcofago, busto e iscrizione, e recentemente

attribuito a Luca Calamecca, esso non fu rimontato nella ricostruzione post terremoto ed è ora conservato nei depositi del Museo Regionale di Messina, ad eccezione del busto che si trova nei locali della cattedrale (42).

 

 

 

NOTE

in Ottant’anni di un maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, a cura di V. ABBATE, 2, Napoli 2006, pp. 445-464, passim; Ead., Innocenzo Mangani, Angelo Reggistemma, in Restauri 2007-2008, a cura di G. BARBERA, Messina 2009, pp. 20-23. Circa i vescovi trasferiti ad altra sede: Bonaventura Secusio (1605-09) fu tumulato nella cattedrale di Catania, ove esiste ancora il suo monumento funebre [vd. G. PACE GRAVINA, Un diplomatico siciliano tra guerre di

religione e impegno pastorale: Bonaventura Secusio, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», 86 (2013), pp. 23-37: 35]; Pedro Ruiz de Valdevieso (1609-17) fu sepolto nella cappella di famiglia nel Monasterio della Concepcion Geronima di Madrid [cfr. j.A. ALVAREZ y BAENA, Hijos de Madrid, ilustres en santidad […], 4, Madrid, Benito Cano, 1791, pp. 196-197]; Francisco Álvarez de Quiñones (1686-98) riposa nella cattedrale di Siguenza [cfr. A. HERRERA CASADO, Heráldica seguntina, 1, La Catedral de Sigüenza, Guadalajara 1990, pp. 150-151]. Antonino Maria Trigona (1817-1919) riposa alla cripta della chiesa dei Cappuccini di Palermo, vd. Palermo, Archivio provinciale dei Frati minori Cappuccini, V 42/3 (Registro dei morti, 3), f. 76r. Gli altri arcivescovi qui non citati riposano in cattedrale.

(39) Su Giovanni Retana, vd. Annali, III, pp. 23, 45 e G. CHILLE', Conforme al disegno fatto per ditto Mastro de Bonanno. Genesi e storia di un monumento cinquecentesco della cattedrale di Messina, in U’ ben s’impingua, se non si vaneggia. Per P. Fiorenzo Fiore, a cura di G. LIPARI, Messina 2015, pp. 25-49: 25-26.

(40) Sulla fama di questo monumento e le sue vicende, vd. A. MIGLIORATO, Una maniera molto graziosa. Ricerche sulla scultura del Cinquecento nella Sicilia orientale e in Calabria, Messina 2010, pp. 335-337; CHILLE', Conforme, cit.

(41) Su Francesco Velardes, vd. Annali, III, p. 149.

(42) F. CHILLEMI, Il centro storico, cit., pp. 166, 354. G. LA CORTE CAILLER, Del Duomo, cit., p. 2: «Più bello di molto ed elegantissimo è il sepolcro […] pertinente all’Arcivescovo Francesco Velardi e Cocchiglia, morto nel 1514. Il busto di lui, scolpito da ignota mano maestra, vedesi in una nicchia sull’alto dell’urna. Decora il frontone dell’arca una non inelegante iscrizione latina». Le iscrizioni sono due, quella sul sarcofago recita: «D.O.M. / CONCHA SEPULTA JACET. MENS EST GEMMA INDITA COELO / SYDERA MIRANTUR SYDUS IN AXE NOVUM»; l’altra, poggiante di esso, dice: «D.O.M. / D. FRANCISCUS VELARDUS ET CONCHA / CORDUB. ECC. QUARTUS VIC.O A PHIL. / II CESARAUG.

LEGATO TUM CONCHAE / TUM TARRAC. FIDEI QUAE SITORI ANN / X ARCHIEP. MESS. V. PASTORI OPT. / SUMPTIB.S REGIIS / OBIIT ANN. SAL. MDXIV [sic]. AETATIS SuAE LXIIX». Vd. infine. MIGLIORATO, Una maniera, cit., pp. 311-312.

 

 

 

[p. 156]

 

Del monumento ad Andrea Mastrillo (1618-1624)43, che era posto nel pilastro meridionale del transetto, di fronte all’altare dell’Assunta (ove ora è la tastiera dell’organo), si sa che era costituto da «un sepolcro marmoreo colla

statua dell’arcivescovo»44 e che non fu ricostruito dopo il terremoto del 1783.

Giuseppe Migliaccio, morto nel 1729 (45), ebbe un imponente monumento collocato inizialmente nella navata meridionale alla sinistra della porta del Tesoro (al posto dell’attuale altare dell’Assunta) e, commissionato il 22

dicembre 1728 ai fratelli Antonio, Biagio e Pasquale Amato, e disegnato da Paolo Filocamo: sopra un severo basamento, con una lunga iscrizione sulla fronte, poggiava un grosso sarcofago nero fiancheggiato da due statue in marmo bianco raffiguranti la Mansuetudine e la Prudenza, ciascuna con il proprio attributo iconografico (la prima l’agnello, l’altra uno specchio), rivolte, con espressione commossa, verso il mezzo busto del prelato. L’effigie del defunto era raffigurata a mani giunte, racchiusa in un ovale sopra l’arca, e circondata da volute, con due putti svolazzanti alla sommità (46). La tomba di mon-

 

 

 

NOTE

(43) Sull’arcivescovo Mastrillo, vd. Constitutiones editae in diocesana synodo Messanensi ab Illustrissimo, et Reverendissimo Domino Don Andrea Mastrillo archiepiscopo Messan., Messanae, Pietro Brea, 1621; CARLO CIRINO, Sermone funerale nell’esequie dell’illustriss. et reuerendiss. don Andrea Mastrilli arciuescouo di Messina fatto nella chiesa protometropolitana all’illustrissimo Senato, Messina, per Gio. Francesco Bianco, 1624; A. Mongitore,

Bibliotheca Sicula, 1, Panormi, Ex typographia Didaci Bia, MDCCVII, p. 31, Annali, III, pp. 203, 205-206, 209, 234, 242.

(44) ACM, Capitolo, ‘Scritture diverse’, vol. 25, ff. 25v-26r. Vi erano un’iscrizione e un epigramma, riportate sia ibidem, sia in Annali, III, p. 242: «D. ANDREAS MASTRILLUS PANORMITANUS POST PLURI/MOS HONORIS GRADUS AD MESSAN. SEDEM EVECTUS / MESSANENSIUM STUDIOSISSIMUS FUIT. MORUM CANDORE / ADITUSQUE

FACILITATE VIX PAREM HABUIT, PIETATE / EXEMPLO, PRECIBUSQUE AUXIT. ALUMNORUM REDDITUS / EXIGUOS, PRAESULUM SEDES DILATAVIT, PERFECITQUE HISQUE / ANIMO MAJORA CONCIPIENS SIBI PARUM MUNERI

SA/TIS EUM VIXISSET. OBIIT, NON OBIIT EX MEMORIA III NONAS MAII ANNO SALUTIS MDCXXIV. /QUOD SEDES ALIIS CONDIS MASTRILLE SUPERBAS. / ET VIRTUS VIX SUPEREST HOC BREVE MARMOR HABE. /MAUSOLEA TUIS MERITIS IAM. DEBITA TOTUM. / CONDITA ZANCLA SIMUL CONDERE NON POTUIT».

(45) [ERASMO DELLA SANTA TRINITà], Distinto ragguaglio della morte, e pompa funebre del fu illustrissimo monsignor d. Giuseppe Migliaccio arcivescovo della nobilissima città di Messina, In Messina, nella stamparia di d. Vittorino Maffei, 1729. Vd. Annali, III, pp. 445-446; IV, pp. 11, 26, 45, 54, 57, 92, 129, 179, 208-209.

(46) BOTTARI, Il Duomo, cit, pp. 46-47, che cita il contratto tra l’arcivescovo e i fratelli Amato. La notizia del disegno di Filocamo è in Distinto ragguaglio, cit., p.7: «… fu il cadavere sepolto in luogo di deposito nella sepoltura del nobile casato de’ Principi del Palco […], fin tanto che si fornisse il lavoro dell’avello marmoreo, che in vita pagato avea il buon prelato […]; e sperasi fra breve ammirar l’opera compita sotta la dirizione del signor d. Paolo 

 

 

 

[... figure, p. 157]

[p. 158]

 

signor Migliaccio, che dopo il 1783 fu trasferita all’inizio della navata settentrionale, fu solo parzialmente danneggiata durante il bombardamento del 1943 (evento in cui si registrarono la distruzione delle due Virtù, il danneggiamento del busto e del sarcofago e la perdita di alcuni fronti del basamento; fu quindi soppresso nella ricostruzione postbellica (47).

Della sepoltura di Giuseppe Maria Spinelli (1767-1770)48, restano frammenti della lapide funeraria nei depositi della cattedrale. Questo sobrio monumento, collocato dopo il 1783 nella navata meridionale vicino alla porta del tesoro e non ricostruito dopo il 1908, era ad altorilievo: sopra un alto basamento con l’iscrizione si ergeva una piramide al cui vertice era un’aquila di marmo nero che sosteneva lo stemma del defunto, mentre al centro spiccava un piccolo sarcofago sovrastato da un ovale col ritratto del vescovo a rilievo, ai cui lati stavano due angeli (49).

 

 

 

NOTE

Filocamo famosissimo dipintor messinese, che ne abbozzò il disegno». Sulla prima posizione del monumento vd. ACM, Capitolo, ‘Scritture diverse’, vol. 25, ff. 27r-v. L’iscrizione, tratta ibidem diceva: «D.O.M. / QUEM VIRTUTBUS NON ABSIMILEM / D. IGNATIUS MIGLIACCIO BAUCINAE PRINCEPS / ORETO JAM DEDUIT FILIUM / QUEM PACTENSIS

ECCLESIA PRAESULE SALUTAVIT / PROTOMETROPOLITANA MESSANENSIS / ARCHIEPISCOPUM ET PATREM / D. JOSPEPH MIGLIACCIO / HANC ADEGIT IN URNAM VIATOR / QUAM SOLERTI SECURITATE / VIVENS ADHUC PARABAT / ANNUS AETATIS LXXI CHRISTI MDCCXXIX / DIEM VERO NISI ADMIRABUNDUS NON AUDIAS / ILLAM ENIM CARNEM EXUIT / QUAM DEI VERBA AGELO PRAENUNCIO / CARNEM IDUIT QUAMME SPRITUS EMSIT / TUNC

SUMUL HOC SE LAPIDE TEXERUNT / ET IN EXTINGUIBULIS CHARITAS / ET VIGILIS EXEMPLAR PRUDENTIAE / ET LENIS SINE EXEMPLO TOLERANTIA». Sui fratelli Amato (XVII-XVIII secolo) vd.: S.M. CALOGERO, Lo scultore messinese Antonino Amato e la chiesa Maria SS. delle Grazie di Piano Tremestieri (CT), «Synaxis», 30/2 (2012), pp. 207-246. R. CASTELLO, Amato Pasquale, in Dizionario degli artisti siciliani, cit., 3, p. 5;  D. DE jOANNON, Amato Biagio, in Arti Decorative in Sicilia. Dizionario biografico, 4/1, a cura di M.C. DI NATALE, Palermo 2014, pp. 12-13; ID., Amato Pasquale, ibidem, pp. 13-14; M. DI SIMONE, Amato Antonio, in Dizionario degli artisti siciliani, cit., 3, pp. 3-4. Su Paolo Filocamo, vd. G. BARBERA, Filocamo, Paolo, in DBI, 47, 1997, pp. 797-799.

(47) Vd. CHILLE' - MELLuSI, La distruzione, cit., p. 63.

(48) Su Giuseppe Maria Spinelli, vd. Annali, V, 94-96, 101.

(49) LACORTE CAILLER, Del Duomo, cit, p. 20. L’iscrizione è citata da CHILLEMI, Il centro storico, cit., pp. 352-353: «(HIC) JACET JOHANNES M. (SPINELLI) / ET LANZA PANOR. EX CLER. (REGuL) /THEAT. MISERATIONE DIVINA / ARCHIEP. MESSANENSIS /EXSPECTANS DONEC VENIAT / IMMUTATIO A. D. MDCCLXX / DE XXX MARTII / ITA

MORIENS INCIDI JUSSIT / (EXCELSO RENUIT TUMULANDA / SUA OSSA SEPULCRO / ANGUSTA EST MERITIS / HAEC BREVIS URNA SUIS) / GENUS / (EX IL)LUSTRI PROSAPIA / SAPIENTIA / IN EXIMIO ORATORE / JUSTITIA / IN SUBDITOS / (CHARITAS / ERGA PAUPERES / QUOS HEREDES INSTITUIT / PROH DOLOR / TANTI PASTORIS JACTURAM / MESSANA LUGET / LECTOR TUAS JUNGE / LACRYMAS)». 

 

 

 

[p. 159]

 

Il cardinale Giuseppe Guarino (1875-1897)50 fu sepolto nel 1907, in seguito alla traslazione dei suoi resti dal Gran Camposanto, nella parete nord del transetto, alla destra della cappella della Pietà. Il monumento, di Gregorio

Zappalà, che consisteva in un altissimo basamento, sul quale si ergeva il sarcofago, sovrastato dal busto del porporato e dal suo stemma, incastonato sul muro, fu soppresso, benché anch’esso recuperabile, dopo i bombardamenti del 1943 e di esso resta solo il busto, attorniato da due putti dormienti provenienti dal monumento Retana, al posto del cui sepolcro ora si trova (51).

Le vicende del monumento di Blasi e la carrellata di queste tombe perdute rappresentano sia una testimonianza estremamente significativa per la storia del duomo e delle arti nella città peloritana, sia il legame non meramente

simbolico – e ormai dimenticato – tra la cattedrale e molti dei suoi vescovi, ma stretto e parlante attraverso le pietre, le figure e le epigrafi, le quali, ognuna con le peculiarità tipiche del proprio contesto storico e artistico, fissavano la memoria degli uomini che hanno fatto la storia della Chiesa di Messina (52).

 

(50) Sull’arcivescovo Guarino, vd. da ultimo Il cardinale Giuseppe Guarino e il suo tempo. Chiesa, movimenti, istituzioni civili nella Sicilia di fine Ottocento, Atti del Convegno di studi (Messina, 16-17 marzo 2012), a cura di G. MAGAZZU' - G. MELLUSI, Messina 2013. 

(51) Su Gregorio Zappalà, vd. La scultura a Messina nell’Ottocento, a cura di L. PALADINO, Messina, 1997, pp. 139-141. Sul monumento vd. CHILLE' - MELLuSI, La distruzione cit., p. 54. I resti del card. Guarino sono stati traslati nel 1983 nella cappella della Casa generalizia delle Apostole della Sacra Famiglia, a Messina.

(52) Desidero ringraziare S.E. mons. Santo Gangemi, mons. Giuseppe La Speme, mons. Angelo Oteri, Lilli Aloisio, Giuseppe Campagna, Giancarlo Cigala, Angelo Grasso, Alessandra Migliorato, Chiara Paniccia, Antonella Piazza, Donatella Spagnolo e Rina Stracuzzi, che a vario titolo e con preziosa disponibilità hanno agevolato l’elaborazione e la pubblicazione di questo studio.

 

 

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