Ricerche sulla devianza sociale cognitiva e sul mutamento sociale
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Questo sito-ebook va letto unitamente al volume F.P. Pinello (2020), Il Decoro. Dalla Cappella Sansevero a Palazzo Bongiorno (Tipheret, Gruppo Editoriale Bonanno, Acireale-Roma), perchè ne costituisce parte costitutiva e integrante. Chi visita il Palazzo può utilizzarlo come guida turistica online
Nella Biblioteca di palazzo Bongiorno, di proprietà del barone Francesco Benedetto Bongiorno, tra molti altri, c'erano i seguenti libri: Domenico Berni, "La storia di tutte le Grazie"; Agostino Calmet, "L'istoria del'antico e nuovo testamento"; Agostino Calmet, "Il tesoro delle antichità sagre e profane".
Prof. Carmelo Fucarino, latinista e grecista di grande fama e di grande valore. Autore di una Grammatica di greco antico (collana Italo Lana) per la Paravia e di tre volumi di classici greci per i licei classici editi dalla Zanichelli- Bologna, sui quali hanno studiato intere generazioni di studenti. Ha tradotto dal russo il romanzo per giovani "La svolta decisiva" di V. Musachanov, con prefazione sulla letteratura per l’infanzia in Russia. Nel settore degli studi classici ha un'ampia e continua attività di saggista. Storico e storiografo molto acuto, raffinato e apprezzato, tra le più recenti opere da lui edite vi segnaliamo "Genio Palermo. Vita morte e miracoli di un dio", Thule 2017.
Questa pagina web conitene uno studio del Prof. Carmelo Fucarino su un documento d’archivio, che si trova presso la Chiesa Madre di Gangi e che ho buoni motivi per ritenere che si tratti di una Dissertazione dell’Accademia degli Industriosdi di Gangi. L’arciprete della parrocchia, il dott. Giuseppe Vigneri, l’abate sac. Cataldo Lucio Bongiorno, il sacerdote latinista Vincenzo Centineo, l’abate sac. Andrea Vitale, il sacerdote dott. Giuseppe Fedele Vitale, il sacerdote dott. Roderigo Vitale, e molti altri sacerdoti e religiosi di Gangi (e non solo di Gangi) erano Accademici Industriosi.
Importante è far rilevare, a questo proposito, che Domenico Schiavo, che era il Direttore dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto, della quale l'Accademia degli Industriosi di Gangi era "Seconda Colonia", in una sua Dissertazione del 1755 sviluppa il tema oggetto del documento in chiave pneumatologica (Spirito Santo). Esso, pertanto, era argomento di Dissertazioni nelle adunanze delle due accademie. I Saggi di Dissertazioni del 1755 dell'accademia palermitana, secondo quanto scrive Gandolfo Felice Bongiorno in una sua Dissertazione in Rime degli Accademici Industriosi del 1769 (Agli Eruditissimi e Chiarissimi Signori Accademici del Buon Gusto di Palermo), costituivano "norma" vincolante per le Dissertazioni degli accademici di Gangi.
Ecco cosa scrive Domenico Schiavo:
Poco però giovate sarebbero le più giuste rispettevoli Leggi, se alla di loro osservanza impegnati non si fossero alcuni Uomini riputati sopra gli altri più saggi; e da ciò appunto l’origine de’ Magistrati ne è derivata sin da’ secoli più lontani descrittaci non già da Livio, o Plutarco, o dall’immortal Cicerone, ma dallo stesso Spirito Santo nella Sacra Scrittura. Avea l’Altissimo Iddio consegnato a Mosè le Tavole della Legge, quali nella Proseuca, come vuole l’Aulisio, o sia nella tenda della Sinagoga di sovente spiegavasi al Popolo d’Israele, quando l’istesso Dio facendosi nuovamente vedere, gli ordinava con precise parole: Adunami settanta Uomini de’ vecchi d’Israele, quei, che conosci, che siano vecchi del Popolo, vale a dire i più prudenti, e sensati, e menali nel tabernacolo dell’Alleanza o come porta l’Ebreo, nella tenda della Sinagoga, ed io te li darò per compagni, onde assieme con essi il mio Popolo governassi. Questo si fu il divino comando dato a Mosè, e questo stesso fu eseguito pur anche in un rilevantissìmo affare da Giosuè, qualora la tribù d’Israele ritrovavasi in Sichem [nda La grande assemblea di Sichem, Giosuè 24], convocando di tutti gli Uomini i più attempati, i Principi, i Giudici , ed i Maestri. Lungo sarebbe se io tutti i luoghi ridir vi volessi, in cui l’istesso più volte vien confermato nelle Sacre Carte; da quanto però sin ora vi ò esposto ben vi accorgete, Accademici, cosa mai io ne pretenda a comun nostro vantaggio ritrarne. Se le Leggi ci prescrivono il retto, l’utile, il profittevole, i Magistrati son quelli, che all’esecuzione, e all’osservanza delle Leggi a tutt’uomo impegnandosi, non che allontanano dalle Repubbliche i vizj, le contenzioni, i disordini; ma nuovo sprone di sovente aggiungendo agli Uomini sciapiti, ed inetti, vieppiù fomentano le virtù, al ben operare ci allettano, ed a compire i doveri di un buon Cittadino ci dpingono … (Schiavo D., Dissertazione, Saggio sopra la Storia Letteraria, e le antiche Accademie di Palermo, e spezialmente dell’origine, islituto, e progressi dell’Accademia del Buongusto, in Saggi di Dissertazioni dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto, Vol. I, in Palermo, MDCCLV (1755), Nella Stamperia de’ SS. Appostoli in Piazza Vigliena, Presso Pietro Bentivegna, pp. 18-19).
Nelle mie opere L’amore è il peso che dà il moto all’anima e Gli affreschi di Palazzo Bongiorno, «Dimora filosofale» a Gangi, più volte citate in queste pagine web, ho definito “Tabernacolo” una piccola saletta di Palazzo Bongiorno che riproduce e rappresenta, nei dipinti degli affreschi, la tenda di Abramo, che può essere considerata la prefigurazione del tempio di Salomone (si veda la questione del Tabernacolo nel mio Il Decoro. Dalla Cappella Sansevero a Palazzo Bongiorno, Bonanno, Acireale-Roma 2020).
Il documento qui analizzato tratta non soltanto del tabernacolo, del tempio e della sinagoga, ma anche del calendario liturgico ebraico. Consiglio di mettere in relazione tale calendario con quello dell’Accademia degli Industriosi di Ganci, di cui ho detto in uno degli approfondimenti pubblicati su questo sito (ne tratto in modo più dettagliato e esteso nella mia opera "L'amore è il peso che dà il moto all'anima. Giansenismo e massoneria nella seconda metà del Settecento siciliano"). Il compilatore del documento, per il Prof. Fucarino, era certamente uomo di grande cultura. Le questioni esegetiche che egli affronta, poi, a quel tempo (il documento può essere collocato con certezza nel XVIII sec., verosimilmente nella seconda metà, ma non è possibile fissarne con precisione la data), erano fonte di interminabili controversie ed erano ostacolate e pesantemente contrastate dal magistero della chiesa cattolica e dalla dottrina teologica cattolica. Non così accadeva nella comuinità dei teologi e degli esegeti cristiani e protestanti e nel mondo massonico, nel quale forti erano i temi del tempio di Salomone, delle sacre scritture ebraiche e dell’esegesi, anche cabalistica, delle medesime.
A seguire comincia il testo di Fucarino.
Chiosa esplicativa e metodologica.
Il documento sembrerebbe a prima vista un’analisi della religione ebraica attraverso i luoghi deputati ai riti, cioè il tempio e il tabernacolo, e la sinagoga, sede di didattica e di formazione religiosa per mezzo delle sacre scritture. Nella seconda parte sono analizzati alcuni di questi libri sacri, emblematicamente detti Tá Biblía, “I Libri”, da quel gruppo di studiosi e filologi alessandrini che redassero l’edizione detta in latino Septuaginta, divenuta la versione canonica della Sacra Scrittura cristiana. Sono esclusi i profeti detti minori, perché già nel titolo è dichiarata la loro paternità.
Perciò apparirebbe come un esame completo degli strumenti di formazione ebraica e quindi sembrerebbe appartenere alla tradizione giudaica. Nulla di strano che anche in una comunità arroccata su una montagna dell’entroterra vi potesse essere un nucleo di origine e religione ebraica.
In effetti pare trattarsi di una sintesi di luoghi e opere dottrinarie descritti a spiegazione di riti e di cultura cristiana. Il lavoro è quindi da inserire nell’esegesi e nella catechesi cristiana del diciottesimo secolo ad uso di informazione e di formazione culturale da parte di un sacerdote cattolico e rivolta ai suoi fedeli cristiani.
L’esposizione è sommaria e tende a mettere in rilievo gli elementi che passarono nel culto e nei riti cristiani. Ciò appare evidente dalla funzione dichiarata per il Cantico dei cantici in cui lo sposo è Cristo. L’esame del testo e gli elementi posti in primo piano portano a trarre queste conclusioni.
Oltre alla descrizione dei luoghi rituali che è ricavata dai testi biblici (soprattutto Esodo e Levitico) l’elemento critico unificante è l’esigenza insistita di fornire un’attribuzione di paternità dei testi.
Pertanto il documento che avrebbe scarso valore come testimonianza delle presenza di un insediamento ebraico in un paesetto dell’interno delle Madonie, se nato ad uso di formazione ebraica e per la scuola di sinagoga, acquista invece un suo valore storico e culturale diverso, perché nato e diretto alla comunità ecclesiale cristiana.
Sarebbe interessante potere rintracciare l’autore di questa dotta sintesi e stabilirne la data di compilazione.[1] L’autore dimostra di conoscere profondamente l’esegesi cristiana, soprattutto nella citazione delle testimonianze della tradizione patristica e apologetica greco-bizantina. [2]
Per gli strumenti che ho a disposizione, in pratica il manoscritto in una fotocopia sbiadita e confusa per sovrapposizione e macchie di inchiostro, posso offrire solo un’interpretazione del testo e la sua traduzione. Per quanto riguarda il contenuto ho cercato di collocare le citazioni nel quadro della tradizione canonica e di chiarire i passi e gli argomenti, quando necessario, con qualche breve introduzione e con una notazione essenziale.
[p. 1] De tabernaculo et templo
in quibus licebat offerre sacrificium; et de Synagogis in quibus Judei vocabant lectioni scripturarum.
Quoniam Deus quas instituerat caerimonias protinus voluit ut exercerentur, tentorium[3]conflari praecepit, quod esset veluti templum portatile aptis portibus coaptans ut in eo sacra omnia fierent; compositum erat variis asseribusquorum singulorum pondus non esset onerosum; haec omnia vero ita composita ut cito dissolvi, et convinci possit prout sedes mutanda erat, et alibi figenda. Hoc taburnaculum[4]suis erat opertum integumentis. Tabernaculum erat in medio atrii sive loci subdialis; atrium illud erat longum centum cubitis, latum quinquaginta. In introitu eius oppandebatur [appendebatur] velum, ceteris velis atrii praetiosius [pretiosius?]; in hoc introitu congregabantur coetus Isdrael. Prima pars atrii quae erat introitui proximior patebat omnibus Isdraelitis dum offerrent victimas. Pars cetera solis sacerdotibus cedebat ibi inveniebatur altare aeneum, quod imponebatur crepidini lapideae ita ut colle ad altare ascenderent ad alendum in eo ignem, et foco struendos quibus olocausta[5]
Il tabernacolo e il tempio
nei quali era lecito offrire un sacrificio e le Sinagoghe nelle quali i Giudei chiamavano a leggere le scritture.
Al tabernacolo, eretto da Mosè per ordine divino (Exod. 25) per conservare le tavole e gli oggetti sacri, è dedicata dagli Israeliti la festa di sukkōt, festa dei tabernacoli. La chiesa cristiana lo ha ripreso nell’edicola dell’Eucaristia. Nei primi tempi questa si poteva conservare sia sotto la mensa dell’altare sia nel muro dell’abside della chiesa. In età altomedioevale V sec. edicola a timpano con colonnine, dal XII secolo si denominò tabernacolo, nel XV si collocò sopra l’altare maggiore, Paolo V lo rese obbligatorio a Roma nel 1614, solo nel 1863 la Sacra Congregazione dei riti lo rese obbligatorio ovunque. Con l’istruzione Eucharisticum Mysterium il Concilio Vaticano II proibì la presenza dell’Eucaristia fin all’inizio sull’altare in cui è celebrata la Messa e suggerì diverse soluzioni di edicole. L’Institutio generalis Missalis Romani del 1969 raccomanda infine l’uso di una speciale cappella per l’ostensione dell’Eucaristia, ovi fedeli possano pregare.
Poiché Dio volle che subito si svolgessero le cerimonie che aveva istituito ordinò che si componesse una tenda che fosse come un tempio trasportatile, adattandola a idonee porte, perché in essa si facessero tutti i riti sacri; era composto di varie assi il cui peso singolarmente non fosse gravoso. Tutte queste parti erano state composte in modo tale che si potessero smontare e riunire secondo che si dovesse cambiare sede ed erigerle altrove. Questo tabernacolo aveva sue coperture, si trovava in mezzo all’atrio ossia un luogo all’aria aperta; quell’atrio era lungo cento cubiti[6] e largo cinquanta. Alla sua entrata era appeso un velo, più prezioso degli altri veli dell’atrio. In questa entrata si riuniva il popolo di Israele. La prima parte dell’atrio che era prossima all’entrata era accessibile a tutti gli Israeliti, mentre offrivano le vittime. L’altra parte era concessa ai soli sacerdoti. Vi si trovava un altare di bronzo[7] che era posto sopra un basamento di pietra così che si ascendesse all’altare per alimentare in esso il fuoco e per disporre nel fuoco ciò con cui
[p. 2] consumebantur. Ultra altare occurrebat vas aereum dictus ideo mare aereum,[8]cuius aqua sacerdotes manus et pedes abluebant sacra facturi aut templum ingressuri. Tabernaculum postea veniebat quatuor integumentis coopertum; duo interiora, leviora erant, tertium et quartum vero ex pellibus ut interiora tabernaculi ab imbribus defenderent. Tabernaculum duas partes habebat, unaquae dicebatur sancta, alia Sancta Sanctorum. In tabernaculo erat arca foederis[9] cum suo operculo, a verbo hebraico laphoret, quod valet operire et expiare, unde illud operculum etiam dictum est propitiatorium.[10]Supra propitiatorium erant Cherubim duo, quorum forma ignota est. In arca erant duae tabulae lapideae in quibus lex scripta fuit, virga Aharonis et urna, in qua manna. Pars reliqua tabernacoli dicebatur sancta ubi erant 1.Candelabrum septem habens lucernas,[11] 2. altare aureum sive thimiamatis,[12]quia in eo ingendebant thimiamata, seu odores; 3. men-
si consumavano gli olocausti. Oltre l’altare si presentava un vaso dì bronzo, cosiddetto “mare di bronzo”, con la cui acqua i sacerdoti si lavavano mani e piedi per compiere i riti sacri ed entrare nel tempio.[13]Poi il tabernacolo veniva ricoperto con quattro veli; due interni,[14] erano più leggeri; il terzo e il quarto invero di pelli per difendere l’interno del tabernacolo dalle piogge.[15]Il tabernacolo aveva due parti, una era detta santa, l’altra Santa santorum.[16]Nel tabernacolo c’era l’arca dell’alleanza con il suo coperchio, dal termine ebraico laphoret, che significa aprire ed espiare donde quella copertura fu detta anche propiziatorio. Sopra il propiziatorio vi erano due cherubini la cui forma è ignota. Nell’arca vi erano due tavole di pietra sulle quali fu scritta la legge, la verga di Aronne e l’urna nella quale vi era la manna. L’altra parte del tabernacolo era detta santa, ove erano 1. Il candelabro con sette lucerne, 2. l’altare d’oro o dei profumi, perché in esso bruciavano i profumi o odori,[17]3. la men-
[p. 3]–sapanum; ab hebraeis vocabantur panes facierum, quia erant quadrati, a Graecis et Latinis panes propositionis, quia nempe proponerentur ante Deum.[18]Singulis diebus sacerdotes sanctum ingrediebantur, ad componendas lucernas, ad adolendum, ad removendos dictos panes singulis sabatis. In sanctum autem sanctorum solus summus pontifex, et hoc semel in anno in festo expiationis intrabat. [19]Quoties movebantur castra cuique Levitae adsignatum erat quas partes tabernacoli portaret, alii tabulas cedrinas auro inductas, alii bases [?]argenteas quibus sustinebantur tabulae, alii vettes [?] quibus per incastraturas illae coerebant. Situm erat tabernaculum in medio castrorum. Conspicuis autem miraculis Deus se in tabernacolo praesentem testabatur, etenim praeter nubem quae imminet tabernacolo, quaeque interdum operiebat illud umbra sua, Deus respondebat ex arca consulenti summo Ponti-
-sa dei pani, dagli Ebrei chiamati pani delle superfici, perché erano quadrati, dai Greci e dai Latini pani della proposizione, [20] perché appunto si mettevano davanti a Dio. Di giorno in giorno i sacerdoti entravano nel santo per disporre le lucerne per ardere e rimuovere i detti pani di sabato in sabato. Nel Santo dei Santi (Sanctus Santorum) poi entrava il solo sommo pontefice e questo una volta nell’anno nella festa dell’espiazione. Ogni qualvolta si muovevano gli accampamenti a ciascun Levita era assegnato quali parti del tabernacolo portare, altri le tavole di cedro, coperte d’oro, altri le basi di argento con le quali erano sostenute le tavole, altri le bende con le quali per le incastrature quelle aderivano. Il tabernacolo era collocato nel mezzo dell’accampamento. Con eccelsi miracoli si testimoniava che Dio era presente nel tabernacolo, infatti oltre alla nube che incombe sul tabernacolo e quella che talvolta apriva quello con la sua ombra rispondeva dall’arca al sonno pontefice che lo consultava,
[p. 4] fici, quae vox inde audiebatur. Preterea [Praeterea] in altari eneo [aeneo] quod subdio positum erat ignis de coelo delapsus absumebat membra olocaustorum sive victimarum.
De templo
Ubi contigit Israelitis frui summa pace sub regno Davidis cogitatum fuit de templo fixo edificando. David utpote qui bellator fuerat concessum habuit a Deo ut apparatum construeret formam delinearet, et materiam pararet. Filius templum incoavit nimis impensis et spatio 7. annorum edificavit in monte moria [Moria]. Cum ergo arca Dei actenus [hactenus] resedisset in sito deducta est Jerosolimam in templum, quod dedicatum est cum celebri pompa. Deus manifesta dedit signa praesentiae suae in illa templi dedicatione, tunc enim nubes totum templum implevit. In monte Moria Salamon edificaverat templum cuius montis apex cum non haberet aream satis patentem, eligendi fuerunt ageres, ita ut multis gradibus ad ipsum templum perveniendum esset.
la quale voce si udiva da lì. Inoltre sull’altare di bronzo che era posto all’aperto, il fuoco caduto dal cielo consumava le membra degli olocausti ossia delle vittime.
Il tempio
Quando toccò agli Isrealiti di godere somma pace sotto il regno di David, si pensò di edificare un tempio fisso. Davide, in quanto che era stato un uomo di guerra, ebbe concesso da Dio di costruire gli ornamenti, di tracciare la forma e preparare la materia. Il figlio [Salomone] iniziò il tempio con forti spese e lo edificò nello spazio di sette anni sul monte Moria.[21]Pertanto essendo rimasta finora l’arca di Dio nel sito, fu trasportata a Gerusalemme nel tempio che fu dedicato con solenne corteo. Dio diede segni manifesti della sua presenza in quella dedicazione del tempio, ora infatti una nube riempì tutto il tempio.[22]Salamone edificò il tempio sul monte Moria la cui sommità del monte non avendo un’area abbastanza accessibile si dovettero scegliere dei campi così che si dovette pervenire allo stesso tempio con molti gradini.
[p. 5] Templum duplo majus fuit tabernaculo Sanctum Sanctorum, quod oraculum dictum est habebat 20 cubitos in latitudine et 20 in longitudine.[23]Vero utraque pars separabatur arca, candelabrum, altare eneum [aeneum], mensa propositionis in hoc templo disponebantur [24]tamquam in tabernaculo ante uius [huius] templi fores expandebatur velum. In introitu erat porticus, in qua duae columnae erant eneae [aeneae].
Il tempio fu più grande del doppio del tabernacolo, il Santo dei Santi che fu detto oracolo aveva 20 cubiti in larghezza e 20 in lunghezza. In vero l’una e l’altra parte era distinta, l’arca, il candelabro, l’altare di bronzo, la mensa della proposizione erano disposti in questo tempio, come se nel tabernacolo si stendesse un velo davanti alle porte di questo tempio. Nell’entrata vi era un portico nel quale vi erano due colonne di bronzo.[25]
[p. 6] In portis atriorum vestibula erant lata. In vestibulo portae Orientalis sacerdotum puto collocatum fuisse Gazophilacium, sive dispositas arcas elemosinarias;[26]qui locus exornatus fuerat donariis principum. Atrium Israelitorum ad Orientalem plagam unica porta patebat et dicebatur porta speciosa,[27] quae a Josepho appellatur Corinthia, quia ex aere Corinthio conflata.[28] In lateribus autem Septemtrionali, et meridionali, in uno quoque tres portae erant. Templo Salamonis everso a Babilonis Zerobabel, favente rege Cyro, aliud templum in eodem loco, nempe in monte Moria, sed non pari magnificentia, edificavit. Cum annis labentibus templum ex parte dirutum esset, instauravit illud magnus Erodes, quod a Romanis eversum est non amplius restaurandum. Templum Salamonicum habuit quique ornamenta, quibus secundum templum caruit, scilicet 1° Urim, et Thumim, id est lumen et perfectio; 2° donum frequens prophetiae 3° Arca phederis [foederis]; 4° Presentia Dei inter Cherubim unde edebat oracula, sive responsa consulentibus, quare ille
Nelle porte degli atri vi erano ampi vestiboli. Nel vestibolo della porta orientale dei sacerdoti credo che fosse collocato il gazophilacio [29] ossia erano disposte le casse delle elemosine; questo luogo era stato adornato con le offerte dei principi. L’atrio degli Israeliti presso la zona orientale si apriva ad un’unica porta ed era detta Porta Bella, che da Giuseppe è chiamata Corinzia, perché era stata fusa da bronzo corinzio. Poi nei lati settentrionale e meridionale vi eranoin ciascuno tre porte. Distrutto il tempio di Salomone dai Babilonesi, Zerobabel, con l’appoggio del re Ciro, edificò un altro tempio nello stesso luogo, cioè sul monte Moria, ma non di pari magnificenza.[30]Essendo stato il tempio distrutto in parte con il volgere degli anni, Erode il Grande [31] rinnovò quello che, distrutto dai Romani,[32]non si dovette più restaurare. Il tempio di Salomone ebbe cinque ornamenti dei quali fu privo il secondo tempio, cioè 1° Urim e Tumim, cioè lume e perfezione,[33] 2° il dono frequente della profezia, 3° l’Arca dell’alleanza, 4° la presenza di dio tra i Cherubini, donde emetteva gli oracoli ossia i responsia coloro che lo consultavano, per cui quel
[p. 7] locus in quo erat Arca appellabatur oraculum. Ignis de coelo victimas comburens. Haec quinque ornamenta in captivitate amissa fuerunt. Preter [Praeter] Ierosolimitarum alia duo fuerunt templa, in quibus quida [quidam] colebatur Deus, sed falsa religione Sannabalat, venia petita a Dario, cuius praefectus erat, deinde ab Alexandro M. [Magno] post mortem Darii extruxerat in montem Gararizim [Garizim] templum, in gratia generi sui Manassae. In hoc templo Samaritani primum vero Deo sacra offerebant, verum post Antiocus Epiphanes, non reluctantibus Samaritanis, Iovi ospitali illud consacravit. Hoc templum a Joanne Ircano eversum fuit cum urbe Samaria. Etiam fuit aliud templum ab Onia sacerdote vero Deo in Egipto sacratum.
De Sinagogis
Sinagogae erant domus orationis et doctrinae. Nullam formam peculiarem habent Sinagogae nisi quod in illis est species altaris, sive mensae in qua explicatur, et evolvitur volumen legis. Ad Orientem est arca ubi re-
luogo in cui si trovava l’Arca si chiamava oracolo. Il fuoco dal cielo bruciando le vittime. Questi cinque ornamenti furono perduti durante la cattività. [34] Oltre a quelli di Gerusalemme due furono gli altri templi nei quali si venerava Dio, ma con falsa religione Sannabalat, impetrato perdono a Dario del quale era prefetto, poi da Alessandro. [35]Altro dopo la morte di Dario fu costruito sul monte Garizim,[36] in grazia del suo genero Manassa. In questo tempio i Samaritani per prima offrivano a Dio i riti sacri, ma dopo Antioco Epifane, non opponendosi i Samaritani, consacrò quello a Giove ospitale.[37] Questo tempio fu abbattuto da Giovanni Ircano con la città di Samaria.[38] Vi fu anche un altro tempio consacrato in Egitto dal sacerdote Onia al vero Dio. [39]
Le sinagoghe
Erano case di discorso e di istruzione. Le Sinagoghe non hanno alcuna forma peculiare se non che in quelle c’è una specie di altare, ossia mensa nella quale si svolge e si srotola il volume delle leggi. Ad oriente c’è la cassa dove
[p. 8] ponitur illud volumen; iusta synagogam est cubiculum, ex quo mulieres prospiciunt in Synagogam virorum; etenim illis non licet intrare vel a viris prospici. Creditur Synagogas primum instructas fuisse in captivitatem ob inopiam Templi. Saepe complures erant Synagogae in eadem Urbe 45 (?) numerabantur, hinc Synagoga libertinorum viderat [?], de qua in Act. Ap. 6°.[40]
De Festis Judeorum
Festorum alia saepius in anno recurrebant[41] ut Sabatum et neomeniae, alia erant anniversaria, ut Pasca et pentecostes; alia denique post aliquot annos recurrebant, ut annus septimus, sive sabatarius et Jubileus. Solemnis et festivus dies Jubilei [?] dabatur enim servis remissio, et emptae possessiones ad veteres dominos redibant. Hac lege praecaverat [?] legislator ne divitis praedia ad se rapere studerent. De singulis Festa in anno recurrentia recenseamus [recensemus?], initium a sabato sumendum. Vox ista sabatum provenit ab hebreo Sabath, idest quiescere, quia
si ripone quel volume; accanto alla sinagoga c’era una stanzetta dalla quale le donne guardano nella Sinagoga degli uomini; infatti a quelle non è lecito entrare o essere viste dagli uomini.[42]Si crede che le Sinagoghe per prima furono costruite in cattività, per mancanza di un Tempio. Spesso parecchie erano le Sinagoghe nella medesima Città, 45 si enumeravano, di qui la Sinagoga dei libertini sorgeva, della quale negli Atti degli Apostoli 6°.
Le feste dei Giudei
Delle Feste alcune ricorrevano più spesso nell’anno come sabato e le neomenie. Altre erano annuali, come Pasqua e Pentecoste. Altre infine ricorrevano dopo alquanti anni, come l’anno settimo, il sabatico e il Giubileo. Il giorno solenne e festivo del Giubileo si dava infatti ai servi la remissione e le proprietà comprate ritornavano ai vecchi padroni. Con questa legge il legislatore aveva premunito che i ricchi non si studiassero di sottrarre per se stessi i poderi. Singolarmente possiamo ritenere le feste ricorrenti nell’anno, inizio da assumere dal sabato. Questo vocabolo sabato proviene dall’ebraico Sabath, cioè riposare, perché
[p. 9] in eo ab omni opere cessandum erat. [43] Die Veneris omnia ad victum necessaria parabantur, qui dies ideo vocabatur Parasceves, idest praeparatio. Incipiebat festum sabati die Parasceves post solis occasum, et finiebatur post proximum occasum solis. Quandoque in Scripturis tota hebdomas vocatur Sabatum. Deus interdixerat ne quis ignem in sabato accenderet; ergo in Parasceves omnia coquenda in crastinum diem. Paulo ante occasum solis, quisquis in domo sua candelam accendit.Jam de Neomeniis ut Festos dies Neomeniam observare non praeceperat Deus, attamen circa illam religio Judeos incesserat, quia Deus Num. 6° v. 11° praereperat [44] ut in mentium initiis offerretur olocaustum; unde multa cura erat Judeis in cognoscendo die, quo novilunia seu Neomeniae contingerent. Primum et magis sollemne festum celebrandum erat decima quarta die mensis Nisan (Marzo) (qui primus est in rebus religionis) ad vesperam sive
durante esso si doveva cessare ogni attività.[45] Nel giorno di Venere si preparavano tutte le cose necessarie al vitto, giorno che era così chiamato Parasceves, cioè preparazione.[46] Cominciava la festa Parasceves nel giorno del sabato dopo il tramonto del sole e terminava dopo il successivo tramonto del sole. Talvolta nelle Scritture tutta la settimana si chiamava sabato. Dio aveva interdetto che qualcuno accendesse il fuoco nel sabato, perciò nel Parasceves tutti i cibi si dovevano cuocere l’indomani. Poco prima del tramonto del sole, ciascuno nella sua casa accende la candela. Già riguardo alle Neomenie[47]Dio non aveva prescritto di osservare la Neomenia come giorni festivi, pur tuttavia intorno a quella si era diffusa fra i Giudei la credenza, perché Dio in Num. 6° v. 11° aveva prescritto di offrire agli inizi dei mesi un olocausto; donde i Giudei avevano molta cura di conoscere il giorno in cui avvenivano i noviluni ossia le Neomenie. Il primo e assai solenne giorno festivo si doveva celebrare nel quattordicesimo giorno del mese di Nisa (marzo) che è primo in fatti di religione, al vespro ossia
[p. 10] potius inter vesperas. Eo tempore agnus in templo mactabatur qui assatus comedendus erat initio proximae noctis, ineunte 14 die mensis Nisan.[48]Nomen huius festi derivatur a Vesach, quia Angelus Domini occidens primogenitos transierat parcens filiis Hebreorum, seu illas domus quorum portes sanguine agni tinctae fuerant. Die 10a primi mensis Nisam legebant agnum Paschalem, qui occidendus erat die 14. Comedendus erat cum lactucis agrestibus, ossa eius non erant confringenda, nec aliquid ex eo superesse debebat, unde plures conveniebant ad illam comestionem [?]. Septem diebus Hebrei vescebantur azimo, idest non fermentato pane.[49] Dies illi ideo Azimorum dicebantur. His diebus singulari cura expurgabatur domus ab omni fermento ad quod alludit Paulus cum Christianos alloquens dicebat “expurgate vetus fermentum.”[50]Unde Judei decima quarta die Nisan sub initio scrutabantur omnes sinus
piuttosto tra i vespri. In quel tempo si immolava nel tempio un agnello che si doveva mangiare arrostito ad inizio della seguente notte, entrando il 14° giorno del mese Nisan. Il nome di questa festa era derivato da Pesach,[51] perché l’Angelo del Signore, uccidendo i primogeniti[52] era passato risparmiando i figli degli Ebrei, ossia quelle case le cui porte erano state tinte con il sangue dell’agnello. Il decimo giorno del primo mese di Nisan sceglievano l’agnello Pasquale che si doveva uccidere nel quattordicesimo giorno. Si doveva mangiare con lattughe agresti, non si dovevano spezzare le sue ossa, né di esso doveva restare qualcosa, onde moltissimi convenivano a quella mangiata [?].[53] Durante sette giorni gli Ebrei si cibavano di pane azimo, cioè non fermentato. Quei giorni si dicevano così degli Azimi.[54] In questi giorni con massima cura si purificavano le case da ogni lievito al quale allude Paolo quando arringando i Cristiani diceva «purgate il vecchio lievito». Donde di Giudei nel decimo quarto giorno del mese nisan all’inizio frugavanotutti gli angoli,
[p.11] domus ad hoc ut panis fermentatus non inveniretur. Dies 15 Huius [huius] mensis erat dies azimorum, dies celebratissimus; dies sequens, seu 16 offerebantur in templo primitiae messis, tempus erat enim, quo seges emittebat spicas, unde mensis Nisan etiam vocabatur spica virens. [55]Completis septem septimalibus [septimanis?], sive elapsis 49 diebus a 16 die mensis Nisan, qui sequebatur, dies quinquegesimus [quinquagesimus] dicebatur Pentecostes, et erat etiam festum sollemne. Novus annus civilis tubarum clangore annuntiabatur in mense tisri. Praeceperat enim Deus, ut illud initium esset Sanctum. 10 Die justa [iuxta?] mensem Tisri aliud festum occurrebat, quod appellatur expiatio,[56] et Jejunium; in qua die abstinemdum erat ab omni cibo et potu, et quisque carnem suam affligere debebat poenitentia, et hac die sacerdos intrabat Sancta Sanctorum.Die 13 ejusdem mensis Tisri agebatur
della casa acciocché non vi si trovasse pane fermentato. Il giorno 15 di questo mese era il giorno degli azimi, giorno assai celebrato; il giorno seguente, ossia il 16 si offrivano nel tempio le primizie della messe, era infatti tempo in cui la messe mandava fuori le spighe, donde il mese Nisan era chiamato anche spiga fiorente. Compiute sette settimane, ossia fuggiti 49 giorni dal giorno 16 del mese di Nisan che seguiva, il cinquantesimo giorno si diceva Pentecoste ed era anche festa solenne.[57] Il nuovo anno civile era annunziato dal suono delle tube nel mese Tisri. [58] Prescrisse infatti Dio che quell’inizio fosse santo. Il giorno dieci subito dopo il mese Tisri correva un’altra festa che si chiama espiazione[59] e digiuno; in questo giorno ci si doveva astenere da ogni cibo e bevanda e ciascuno doveva affiggere la propria carne con la penitenza e in questo giorno il sacerdote entrava nel Santo Santorum. Il giorno13 del medesimo mese di Tisri si faceva
[p. 12] festum tabernaculorum, [60] a Graecis dictum Scenopegia, a compingendis illis tabernaculis illa fiebant in festis Edium [Aedium?], ut videre est cap. 8 apud Neemiam.[61] Hoc festum fiebat justa [iuxta] illud, quod praecipitur Lev. 23°, “Die primo fructus alberis pulcherrimae, spatulasque palmarum, et ramos ligni densarum frondium, et salices de torrente sumetis et letamini coram Domino”. [62]Itaque 1a die festi parabant ramos palmarum salicum, eosque colligebant funiculis aureis, vel argenteis, vel aliis vittis, tota prima die festi manibus gestabant, nec ullo tempore seu orarent, seu essent in Synagoga manu dimittebant. Unaquaque die huius festi cum his ramis altare circumdabant, et protendentes manus clamabant hosanna. Septima vero die circuibant septies altare, et hoc vocabatur magnum hosanna.Pascha, pentecostes, et Scenopegia erant tria sollemnia festa ad quae celebrando omnes conveniebant viri Judei ex finibus Israel. Reliqua festa paucis perstringimus.
la festa dei tabernacoli, detta dai Greci Scenopegia,[63] dal costruire quei tabernacoli, quegli eventi avvenivano nelle feste delle Capanne, come si può vedere a cap. 8 presso Neemia. Questa festa avveniva vicino a quella che è prescritta in Lev. 23° «nel primo giorno i frutti di un albero bellissimo e spatole di palme e rami di legno di dense fronde e salici di torrente prendete e rallegratevi davanti al Signore». Perciò nel primo giorno di festa preparavano rami di palme e salici e li legavano con funicelle d’oro ossia di argento o con altre bende, o in tutto il primo giorno di festa gesticolavano le mani, né in altro tempo sia pregavano sia che fossero nella Sinagoga smettevano con le mani.[64] In ciascun giorno di questa festa circondavano con questi rami l’altare e protendendo le mani gridavano hosanna, Invero il settimo giorno andavano intorno all’altare per sette giorni e chiamavano questo grande hosanna.[65]Pasqua, Pentecoste e Scenopegia erano le tre feste solenni alla cui celebrazione convenivano tutti gli uomini Giudei dai territori di Israele. Le rimanenti feste in poco restringiamo.
[p.13] Aencenia, sive dedicationes templi Jerosolimitani diversae observabantur, nempe quatuor diversis anni temporibus. 1° Fuit Salamonis mense 7° ut lib 2° Paralipomeni;[66]2° Fuit Templi Zerobabelis, de qua Esdras lib. 1°; [67]3° Fuit non dedicatio templi, sed dedicatio altaris, cum primum Judas Machabaeus altare Olocaustorum instauravit, atque dedicavit.[68]4° Fuit dedicatio Templi ab Erode instaurati, quam Josephus dicit fuisse magna pompa celebratam.[69]Insuper Judei solent innumeros dies festos agere, sicut illam, quo Jephte filiam suam immolaverat; [70] quo ignis caelestis extinctus post exilium Babilonicum suscitatus est; quo Judith Olophernem interfecit;[71] quo tandem victoria parta est de Nicanore duce Demetrii regis Syriae.[72]
Le Encenie,[73] ossia le dedicazioni del tempio di Gerusalemme si osservavano in diverso modo, vale a dire quattro in diversi tempi dell’anno.1° Fu di Salomone nel settimo mese come dal libro 2 dei Paralipomeni; 2° fu del tempio Zerobabelis del quale Esdra libro I; 3° fu non della dedicazione del tempio, ma la dedicazione dell’altare quando per prima Giuda Machabeo istaurò l’altare degli Olocausti e lo dedicò. [74]4° fu la dedicazione del Tempio restaurato da Erode che Giuseppe dice che fosse celebrata con grande pompa. Inoltre i Giudei sono soliti celebrare innumerevoli giorni festivi, come quello in cui Jefte immolò sua figlia; in cui il fuoco celeste estinto dopo l’esilio di Babilonia fu ravvivato; in cui Giuditta uccise Oloferne; in cui infine si ottenne la vittoria di Nicanore duce di Demetrio, re di Siria.
[p.14] Pars 2aCap. 1 (?) Enumerantur libri quibus constat S. Scripturaet eorum autores enarrantur
Biblia sacra complectitur volumina Deo inspirante scripta: multi sunt hi libri. Primum Graeci Genesim appellant, seu generationem ex eo quod continet creationem et originem mundi. Certum est autorem huius libri fuisse Moysen quae objici solent parvi momenti sunt etenim nonnulli inficiantur Moysen autorem Pentateuchi; ex eo quia in eodem Pentateuco enarretur mors Moysis, et nonnulla alia post mortem Moysis subsecuta, quae certo Moyses mortuus scripto mandare non potuit; quia regiones, urbes in Pentateuco his appellantur nominibus quae non nisi post obitum Moysis habuerunt.Respondemus. Non diffitentur Viri Orthodoxi ab Esdra, et a viris primariis Ecclesiae Iudae quibus cura librorum sacrorum mandata
PARTE II Si enumerano i libri dei quali è composta la S. Scrittura e si descrivono i loro autori.
Il Pentateuco
Nella classificazione che diedero il gruppo dei Settanta il Pentateuco, le cinque mura, raccoglie i cinque libri fondamentali della storia religiosa ebraica, che gli Ebrei chiamarono Torah, “la legge”. Esso comprende oltre alla più nota Genesi, l’Esodo, il racconto dell’uscita dall’Egitto, il Levitico, o libro della tribù di Levi alla quale era affidato l’esercizio del culto e le sue norme, i Numeri, che raccoglieva il rendiconto dei censimenti ed era il polso della popolazione, il Deuteronomio, o “Seconda Legge”, richiamo alla legge e alla conversione. Il testo si occupa espressamente dell’attribuzione dei testi della sezione e della seconda edizione delle norme cultuali, nulla dicendo del contenuto degl altri libri e del contenuto.
La sacra Bibbia abbraccia i volumi scritti sotto ispirazione di Dio: molti sono questi libri. I Greci chiamano il primo Genesi, ossia generazione dal fatto che contiene la creazione e l’origine del mondo. È certo che l’autore di questo libro sia stato Mosè; vi sono in realtà cose di poca importanza che sogliono essere obiettate, alcuni negano che Mosè sia stato autore del Pentateuco, da ciò che nello stesso Pentateuco si narra la morte di Mosè e alcune altre cose seguite subito dopo la morte di Mosè che certamente Mosè da morto non poté affidare allo scritto; perché le regioni e le città nel Pentateuco sono chiamate con questi nomi che non ebbero se non dopo la morte di Mosè. Rispondiamo. Non contradicono gli Uomini Ortodossi da Esdra e dai principali uomini della Chiesa giudaica ai quali è stata affidata la cura dei libri sacri
[p. 15] erant, quod additum fuisse; sive ad complendam historiam, vel ad eam illustrandam, quin forsan inserta aliqua fuissse ab Esdra quando Bibbiam edidit, et tam mors Moysis, quam nova urbium, et regionum appellatio ujus [huius] generis sunt. Nonnulli autumant pote (?) prostremos (?) versus Deuteronomiis, ubi de morte et de sepultura Moysis agitur Josue supplevisse. Tametsi Josephus adserat, quod Moyses mox moriturus se ipsum in sacris voluminibus se ipsum mortuum adserat, timens ne propter suas excellentes virtutes Judei se a Deo raptum praedicarent. Post Pentateucun sequitur liber inscriptus Josue, qui ab ipso Josue exaratus putatur. Continet res ab ipso gestas a morte Moyse usque ad mortem ipsius. Non dubitandum Josue fuisse autorem huius libri ex cap. 24 v. 26 “Scripsit omnia haec Josue in volumine legis Domini”. [75]Sunt qui opinantur librum Josue fuisse scriptum post tempora Salamonis; etenim nonnulla narrat, quae post mortem Josue con-
che qualcosa sia stato aggiunto; sia per completare l’opera o per illustrarla anzi furono inserite forse alcune cose da Esdra quando pubblicò la Bibbia e tanto la morte di Mosè quanto la nuova denominazione delle città e delle regioni sono di tal genere. Qualcuno ritiene che gli ultimi versi del Deuteronomio, dove si tratta della morte e della sepoltura di Mosè li avesse aggiunti Giosuè.[76] Sebbene Giuseppe asserisca che Mosèche stava tosto per morire asserisca nei sacri volumi che egli stesso fosse morto, temendo che per le sue eccellenti virtù i Giudei proclamassero che egli fosse stato rapito da Dio.
I libri storici
Sono i libri che narrano l’entrata nella terra promessa dal popolo ebraico e le vicende di poco più di sei secoli. Si distinguono in quattro gruppi:
1. i libri storici di Giosuè, Giudici, Rut, i due libri di Samuele, i due libri dei Re;
2. due libri di Cronache, Esdra, Neemia;
3. tre racconti di speranza: Tobia, Ester, Giuditta;
4. due libri di Maccabei.
Dopo il Pentateuco segue il libro attribuito a Giosuè che si ritiene composto dallo stesso Giosuè. Contiene i fatti compiuti dallo stesso dalla morte di Mosè alla sua morte. Non si deve dubitare che Giosuè sia stato l’autore di questo libro dal cap. 24 v. 26, «scrisse tutte queste cose Giosuè nel volume della legge del Signore». Vi sono coloro che ritengono che il libro di Giosuè fosse stato scritto dopo i tempi di Salomone; infatti narra alcuni fatti che avvennero dopo la morte di Giosuè;[77]
[p.16] -figerunt: sic E. lyr. (?) cap. 14 v. 9° cum sermonem haberet de duodecim lapidibus ad ripam Jordanis positis haec habet “Et sunt ibi usque in presentem diem”[78] sic etiam cap. 4° v. 9° “Vocatum est nomen loci illius Galgala usque in presentem diem.”[79]Respondemus haec omnia addi potuere vel ab Esdra vel ab aliis, qui scripturam sacram transcribendam curarunt. Tertius liber appellatur Judicum, etenim post mortem Josue Deus suscitavit quosdam, quibus cura incumberet regendi populum Israeliticum, et hi appellantur Iudices, quorum praecipuum munus erat libertatem populo Dei conservare, auctor istius libri ignoratur. Nonnulli suspicantur scripsum (?) fuisse a Samuele, et hoc nullo testimonio nititur. Certum est autem scriptum fuisse ante regem David quia cap. 1° Jebuseus abitavit ibi cum filiis Beniamin usque in praesentem diem”.[80]Et tamen rex David initio sui imperii Jebuseos expuit ex urbe Jerusalem.Quartus est liber Ruth, ipse enarrat scriptoriam
Così E. lyc. [?] cap 14 v. 9[81] facendosi discorso delle dodici pietre poste alla riva del Giordano queste cose ha «e sono ivi fino al presente giorno», così anche cap 4 v. 9 «Fu chiamato il nome di quel luogo Galgala fino al presente giorno». Rispondiamo che tutte queste cose potettero essere aggiunte o da Esdra o da altri che curarono che si dovesse trascrivere la sacra scrittura. Il terzo[82]libro si chiama dei Giudici, infatti dopo la morte di Giosuè Dio suscitò alcuni ai quali incombesse la cura di reggere il popolo israelitico e questi si chiamano Giudici, il cui precipuo compito era conservare la libertà al popolo di Dio. Si ignora l’autore di questo libro. Alcuni sospettano che sia stato scritto da Samuele, ma ciò non è sostenuto da alcun testimonio. È certo poi che sia stato scritto prima del re David perché cap. 1,«Jebuseo abitò ivi con i figli di Beniamino fino al presente giorno». E tuttavia re David all’inizio del suo impero cacciò Jebuseo dalla città di Gerusalemme.[83]Il quarto è il libro di Ruth, la stessa narra la storia
[p.17] quae contigit tempore Judicum, etenim cum exorta fuisset fames in terra Israel Elimelech coegit Betlamithen abire a Moabitis ibi mortuus fuit Elimelech et filii eius nupserunt Moabitis quarum una appellabatur Ruth omnes viri Elimeleche mortui sunt sine prole, quare Noemi cogitavit de reversione in Patriam. Ruth socrum secuta est usque Betlem, et nupsit cuidam praediviti nomine Booz, ex quibus natus est Obed Davidis avus.Auctor istius libri etiam ignoratur, sed certe scriptus fuit Regnante David, nam auctor attexit genealogiam, quam usque ad David perducit.Quintos secuntur quattuor libri Regum. Primus liber narrat res gesta (gestas?) sud Judicibus Eli et Samuele nec non sub rege Saule. Secundus incipit a morte Sauli usque ad finem regni Davidis. Tertius a Salamone usque ad divisionem regni Israelis in duas partes [,] quartus tandem narrat historiam reliquorum Regum.De auctore horum quatuor librorum iuvat
che avvenne al tempo dei Giudici, infatti essendo stata sorta la fame in terra di Israele Elimelech costrinse Betlamiten ad andare via dai Moabiti allora morì Elimelech e i figli di lui sposarono Moabite delle quali una si chiamava Ruth e tutti gli uomini di Elimelech morirono senza prole per cui Noemi meditò il ritorno in patria, Ruth seguì la suocera fino a Betlem e sposò un tale assai ricco di nome Booz dai quali nacque Obed avo di David.[84]Anche l’Autore di codesto libro si ignora, ma certamente fu scritto sotto il regno di David, infatti l’autore intrecciò la genealogia che conduce fino a David. Quindi seguono quattro libri dei Re. Il primo libro narra le gesta sotto i giudici Eli e Samuele e pure sotto il re Saul. [85] Il secondo [86] comincia dalla morte di Saul fino alla fine del regno di David. Il terzo da Salomone fino alla divisione del regno di Israele in due parti. Il quarto infine narra la storia dei rimanenti Re. Sull’autore di questi quattro libri giova
[p.18] in medium proferre, quae habet Theodoretus in praefatione ad libros regum “Plurimi fuerunt Prophetae, quorum libro non invenimus, nomina autem didicimus ex libro Paralipomenorum: horum unusquisque consueverat scribere quaecumque contingebant fieri suo tempore, atque inde est quo primus liber regum, et apud hebreos, et apud Syros nominetur prophetia Samuelis. Quod ei facile est conoscere, qui praedictum librum legere voluerit. Est ergo prespicuum quod unusquisque ex prophetis ea conscripsit, quae certa sunt ipsius temporibus. Alii autem quidam cum illa collegissent, composuerunt libros Regum, et rursum fuerunt aliqui qui eorum, quae ab illis fuerant praetermissa novum confecerunt librum quem appellarunt Paralipomenon; utpote, qui docerent ea, quae fuerant ab aliis praetermissa, unde Paralipomenon valet praetermissorum.[87]
Sequitur 7. liber Esdra, qui continet seriem historiae hebraeorum a reditu captivitatis Babilonicae, seu a rege Cyro libertatem donante usque
esporre ciò che ripota Teodoretonella prefazione ai libri dei Re: «Moltissimi furono i Profeti nel cui libro non troviamo, ma apprendiamo i nomi dal libro dei Paralipomeni; ciascuno di questi era solito scrivere qualunque cosa toccava che avvenisse al suo tempo e da lì è per cuiil primo libro dei re e presso gli Ebrei e presso i Siri è nominato profezia di Samuele. Ciò è facile conoscere a colui che abbia voluto leggere il predetto libro. È pertanto evidente che ciascuno dei profeti scrisse quelle cose che sono certe ai tempi dello stesso. Avendo poi alcuni altri raccolto quei fatti composero i libri dei Re e di nuovo vi furono alcuni che di quelle cose che erano state da quelli tralasciate fecero un nuovo libro che chiamarono Paralipomenon: come coloro che insegnassero quelle cose che furono omesse da altri, donde Paralipomenon significa“delle cose omesse”».[88]Segue il settimo libro di Esdra, che contiene la serie della storia degli Ebrei dal ritorno dalla cattività di Babilonia ossia dal re Ciro che donava la libertà[89]fino
[p. 19] ad annum 20° Artaxersis Longimani.Esdras duos continet libros: primus certe scriptus fuit ab Esdra, qui factus est dux Iudeorum, quibus permissus est liber reditus in patriam anno 9° Artaxersis regis Persarum. Secundus vere scriptus fuit a Neemia, qui erat pingerna [90] Regis Longimani, a quo potestatem accepit anno 20 regni eius revertendi Jerusalemam, et aedificandi eam. Hic secundus liber Esdrae continet historiam a 20 anno Longimani, usque ad Darium Nothum eius filium. Post generalem historiam judeorum secuntur historiae non totius generis, sed quorundam virorum. Sic liber Tobias, qui continet historiam Thobiae eximiae pietatis et singularis patientiae, qui temporibus Salmonasar adductus fuit captivus cum aliis. Auctor huius libri ignoratur, quemadmodum ignoratus est auctor librorum Judith Ester et Job. In libro Judith celebratur praeclarum opus illius feminae, quae Olofernem occidit. Non constat vero
fino all’anno 20° di Artaserse Longimano.Esdra contiene due libri: il primo certamente fu scritto da Esdra che fu fatto duce dei Giudei ai quali fu permesso il libero ritorno in patria nell’anno nono di Arteserse re dei Persiani.Il secondo invero fu scritto da Neemia che era coppiere del re Longimano dal quale ricevette il potere l’anno ventesimo del suo ritorno a Gerusalemme e della sua edificazione. Questo secondo libro di Esdra contiene la storia dall’anno ventesimo del Longimano fino a Dario Noto suo figlio. Dopo la storia generale dei Giudei seguono le storie non di ogni genere, ma di alcuni uomini. Così il libro di Tobia che contiene la storia di Tobia di esimia pietà e di singolare pazienza che ai tempi di Salmonasar fu condotto schiavo con altri. Si ignora l’autore di questo libro, come è ignoto l’autore dei libri di Juditta, Ester e Giobbe. Nel libro di Giuditta si celebra la preclara opera di quella donna che uccise Oloferne, non si sa invero
[p. 20] de tempo [tempore?] quo scriptus fuerit; alii enim ante, alii post Judeos in Captivitatem abductos. In libro Ester legitur quomodo Deus per illam feminam universam gentem Judeorum jamjam perituram servaverit, et quomodo Aman, qui excidium illius machinabatur percusserit.[91]Liber Iob haec habet “Praedives erat Iob”, [92]quo tempore vixerit, quo tempore hic liber conscriptus fuerit latet. Certum vero est extitisse, necdum scripta lege, quin multo antiquior moyse [Moyse] censeri potest, quia vita eius producta fuit ad 200 annos, quod tempus tempore Moysis contractum fuerat. Praeterea patria eius nec bene est nota.[93] Certe vicina fuit Caldeis; nominatur haec patria Hus, sed tres in sacris literis, nomine Hus insigninatur [insignitur], unus fuit nepos sem ex Aram, cuius sedes fuit in Syria; alter fuit filius Nacher cuius regio dicta fuit Huts, seu Husi cuius regio idem nomen accepit: tertius tandem fuit ex gente hebraeorum. Patriam Job Huts ex secundo illo (?) dictam fuisse; unde docti colligunt Job fuisse nec ex Syria, nec ex Idumea, sed ex Arabia deserta.
il tempo in cui fu scritto, altri infatti prima, altri dopo che i Giudei furono condotti in schiavitù.[94]Nel libro di Ester si legge come Dio per mezzo di quella femmina abbia salvato tutto il popolo dei Giudei che stava già per perire e come uccise Aman che macchinava la rovina di quella.
Altro gruppo sono i libri poetici, detti anche sapienziali o didattici comprendono il libro di Giobbe e i Salmi
Il libro di Giobbe contiene queste cose:“ricchissimo era Giobbe”. È ignoto in qual tempo sia vissuto, in qual tempo questo libro sia stato scritto. [95] È certo invero che sia esistito, non ancora per norma scritta, che anzi può stimare molto più antico di Mosè, perché la sua vita si prolungò fino a duecento anni il quale tempo si era ristretto al tempo di Mosè. Inoltre neppure è ben nota la sua patria. Certamente fu vicina ai Caldei, è denominata questa patria Hus, ma tre nei sacri testi sono designati con il nome di Hus, uno fu nipote di Sem da Aram, la cui sede fu in Siria,[96]un altro fu figlio di Nacher la cui regione fu detta Huts ossia Hus, la cui regione ricevette il medesimo nome; terzo infine fu dalla gente degli Ebrei. La patria di Giobbe fu detta Huts dal quella seconda; onde i dotti argomentano che Giobbe non fosse né di Siria, né di Idumea, ma dell’Arabia deserta.
[p. 21]. Sequitur liber psalmorum. Judei canebant ad pulsum citharae cansiones sacras. Hi omnes Psalmi dicuntur Davidis, non quod ipse fuerit omnum [omnium] auctor, sed quatenus multos veterum vatum collegerit, et plurimos ipse addiderit. Praeterea quidam sunt posterioris aetatis quorum Esdras et alii autores fuerunt. Qui illi fuerint scire non possumus. Proverbia, nomen hebraicum misle, proprie importat parabolam, sive comparationem, unde per illa Proverbia intelligenza sunt breves sententiae, acutae similitudines, quae rem propositam illustrant. Viri eruditi tribuunt prima 24 capita huius libri regi Salamoni, quinque posteriora capita vero creduntur collecta per viros Ezechiae, etenim cap. 25 legimus “Hae quoque parabolae Salamonis quas transtulerunt viri Ezechiaen”.[97]Sequitur liber Ecclesiastes. Ecclesiastes est nomen Graecum quod valet concio, vel concionator. Ipse Salamon, sive peccator, sive poenitens in hoc libro concionatur de rerum mundanarum.
Segue il libro dei Salmi.[98] I Giudei cantavano al suono della cetra canti sacri. Tutti questi salmi si dicono di David, non perché lo stesso fosse autore di tutti, ma per il fatto che raccolse molti salmi di antichi vati e moltissimi egli stesso aggiunse. Inoltre alcuni sono di età posteriore dei quali Esdra e altri furono autori. Non possiamo sapere chi siano stati coloro. Proverbi: il nome ebraico misle[99] propriamente significa parabola ossia comparazione, donde per quei Proverbi si devon intendere brevi sentenze, acute similitudini che illustrano la cosa proposta. Gli eruditi attribuiscono i primi 24 capitoli di questo libro al re Salomone, i cinque posteriori capitoli invero si credono raccolti per mezzo di uomini di Ezechia, infatti nel capitolo 25 leggiamo: «Anche queste sono parabole di Salomone che riportarono gli uomini di Ezechia». Segue il libro Ecclesiaste. Ecclasiaste è il nome greco che significa assemblea o arringatore. Lo stesso Salomone, o peccatore o penitente, in questo libro arringa sulla vanità delle cose mondane.[100]
[p. 22] vanitate.Canticum canticorum, nomine hebraico valet carmen nobilissimum. Creditur esse carmen nuptiale exprimens castos et jucundos animorum complexus. Totum mysticum est exhibens argumentum incompreensibilis [incomprehensibilis]amoris Christi ergo sponsam suam ac vicissim sponsae erga Christum. Librum illum Salomon videtur composuisse post constructam in saltu Libani domum extivam; ait enim “Veni de Libano veni oronaberis”.[101]Sequitur liber Sapientiae sic dictus quod de Sapientia increata loquatur, apud Graecos hic liber inscribitur “Sapientia Salomonis” non quia auctor sit Salomon, sed quia Salomon est auctor sententiarum, quae in eo inveniuntur. Circa autorem huius libri disceptatur. Divus Hieronibus tribuit illum Philoni Judeo utpote, qui redolet Graecam eloquentiam. Nonnulli vero credunt scriptorem huius libri fuisse Philonem antiquiorem. Ecclesiasticus sic appellatus, quia in Ecclesia legebatur; alii putant dictum fuisse Ecclesiasticum
Il Cantico dei cantici, in nome ebraico significa carme nobilissimo. Si crede che sia un carme nuziale che esprime casti e giocondi vincoli affettuosi degli animi. È tutto mistico e rappresenta la prova dell’infinito amore di Cristo verso la sua sposa e viceversa della sposa verso Cristo.[102] Sembra che Salomone abbia composto quel libro dopo che era stata costruita nel passo del Libano la casa estiva, dice infatti: «Son venuto dal Libano son venuto incoronami».
I libri profetici
Segue il libro della Sapienza, così detto perché parla di Sapienza increata; presso i Greci questo libro si intitola “Sapienza di Salomone”, non perché l’autore sia Salomone, ma perché Salomone è autore delle sentenze che si trovano in esso. [103]Si dibatte sull’autore di questo libro. Il divino Ieronimo attribuisce quello a Filone Giudeo, in quanto che profuma greca eloquenza. Alcuni invero credono che scrittore di questo libro sia stato un Filone più antico. Ecclesiastico[104] è così chiamato, perché si leggeva in Chiesa, altri ritengono che sia stato detto Ecclesiastico
[p. 23] ad distinctionem libri Salomonis qui appellatur Ecclesiastes. A Graecis
inscribitur Sapientia Jesu filii Sirac, quatenus scilicet hic primus ediderit hoc librum in lingua haebraica.Circa reliquos libros Prophetiae praeferunt suos auctores sicut et libri
Evangeliorum Act. Apost. auctor est Lucas ut ipse
fatetur in Exordio.[105]Dubitatur utrum Paulus scripserit epistolam ad Hebreos, alii eum tribuunt
Barnabae[106] alii Clementi. Sunt qui opinantur dispositionem eius esse Pauli, sed elocutionem Lucae, et ideo nomen veri auctoris non praeferre, quia Judeis
ingratum erat.
per distinguerli dal libro di Salomone che si chiama Ecclesiastes.[107] Dai Greci si intitola Sapienza di Gesù figlio Sirac, in quanto, è evidente, costui per primo pubblicò questo libro in lingua ebraica.[108]
Riguardo ai rimanenti libri della Profezia riportano i loro autori,[109] come anche il libro degli Evangeli, Atti degli apostoli ,è autore Luca come egli stesso confessa nell’Esordio.
Si dubita se Paolo abbia scritto l’epistola agli Ebrei,[110] altri l’attribuiscono a Barnaba, altri a Clemente.[111]Vi sono coloro che pensano che la sua disposizione sia di Paolo, ma l’eloquio di Luca[112] e perciò non riporta il nome del vero autore, perché non gradito ai Giudei.
[1] Il Prof. Fucarino, in modo ufficioso, mi ha confidato che il documento potrebbe risalire alla seconda metà del Settecento ma, per averne certezza, dovrebbe analizzare l’originale. Cosa che, a oggi, ancora non ha avuto modo di fare.
[2] Per quanto riguarda l’autore, una perizia calligrafica potrebbe essere utile per stabilire se il documento sia attribuibile a Gandolfo Felice Bongiorno o a Giuseppe Fedele Vitale, dei quali si conservano dei manoscritti. Presso l’archivio della Chiesa Madre di Gangi, inoltre, ci sono manoscritti di altri arcipreti e sacerdoti che erano Accademici Industriosi, nella seconda metà del Settecento.
[3] Dal latino tendere, era una vera e propria tenda mobile fatta con stoffe e pelli tese.
[4] In ebraico mishkan, “residenza”, “dimora”, in latino diminutivo di taberna, baracca provvisoria di assi di legno, da tabulae, il latino contuberna, accampamento militare. In territorio di Prizzi una contrada demotizzata in Centuvernari sembrerebbe richiamare un accampamento romano.
[5] Termine di struttura composta greca, “tutto ciò che si brucia”, per indicare le vittime sacrificali che erano bruciate sugli altari per propiziarsi gli dei. Da esso il termine cristiano per indicare il sacrificio di Cristo, come agnello sacrificale.
[6] Il cubito era la misura di lunghezza che andava dal gomito alla punta delle dita, circa 45 dei nostri cm. Perciò il recinto dell'atrio del Tabernacolo, lungo 100 cubiti e largo 50 corrispondeva a circa 45 m in lunghezza e 22,5 m in larghezza.Cf. Exod. 27, 9, 12
[7]Exod. 30, 2. L’altare dell’olocausto, di 2,25 m in lunghezza e larghezza e 1,35 m in altezza, era fatto di legno di acacia e rivestito di bronzo.
[8]1 Re, 7, 23-25, Fecit quoque mare fusile decem cubitorum a labio usque ad labium, rotundum in circuitu: quinque cubitorum altitudo ejus, et resticula triginta cubitorum cingebat illud per circuitum. Et sculptura subter labium circuibat illud decem cubitis ambiens mare: duo ordines sculpturarum striatarum erant fusiles. Et stabat super duodecim boves, e quibus tres respiciebant ad aquilonem, et tres ad occidentem, et tres ad meridiem, et tres ad orientem, et mare super eos desuper erat: quorum posteriora universa intrinsecus latitabant. Il diametro di dieci cubiti è m 4,44, la circonferenza di 30 cubiti è di m. 13,32, quindi stanno in un rapporto pari a tre, cioè il π greco (forse “periphery”), usato per la prima volta nel 1706 da W. Jones, in Synopsis Palmariorum Matheseos, e reso universale da Eulero nella Mechanica sive motus scientia analytica exposita.
[9] Exod. 25, 10-16, arcam de lignis setim compingite, cujus longitudo habeat duos et semis cubitos: latitudo, cubitum et dimidium: altitudo, cubitum similiter ac semissem. Et deaurabis eam auro mundissimo intus et foris: faciesque supra, coronam auream per circuitum: et quatuor circulos aureos, quos pones per quatuor arcae angulos: duo circuli sint in latere uno, et duo in altero. Facies quoque vectes de lignis setim, et operies eos auro. Inducesque per circulos qui sunt in arcae lateribus, ut portetur in eis: qui semper erunt in circulis, nec umquam extrahentur ab eis. Ponesque in arca testificationem quam dabo tibi.
[10]Exod. 25, 17-22, Facies et propitiatorium de auro mundissimo: duos cubitos et dimidium tenebit longitudo ejus, et cubitum ac semissem latitudo. Duos quoque cherubim aureos et productiles facies, ex utraque parte oraculi. Cherub unus sit in latere uno, et alter in altero. Utrumque latus propitiatorii tegant expandentes alas, et operientes oraculum, respiciantque se mutuo versis vultibus in propitiatorium quo operienda est arca, in qua pones testimonium quod dabo tibi. Inde praecipiam, et loquar ad te supra propitiatorium, ac de medio duorum cherubim, qui erunt super arcam testimonii, cuncta quae mandabo per te filiis Israel.
[11]Exod. 37, 17-24, Fecit et candelabrum ductile de auro mundissimo, de cujus vecte calami, scyphi, sphaerulaeque, ac lilia procedebant: sex in utroque latere, tres calami ex parte una, et tres ex altera: tres scyphi in nucis modum per calamos singulos, sphaerulaeque simul et lilia: et tres scyphi instar nucis in calamo altero, sphaerulaeque simul et lilia. Aequum erat opus sex calamorum, qui procedebant de stipite candelabri. In ipso autem vecte erant quatuor scyphi in nucis modum, sphaerulaeque per singulos simul et lilia: et sphaerulae sub duobus calamis per loca tria, qui simul sex fiunt calami procedentes de vecte uno. Et sphaerulae igitur, et calami ex ipso erant, universa ductilia ex auro purissimo. Fecit et lucernas septem cum emunctoriis suis, et vasa ubi ea, quae emuncta sunt, extinguantur, de auro mundissimo. Talentum auri appendebat candelabrum cum omnibus vasis suis. Cf. Exod. 25, 31-37.
[12]Exod. 37, 25-29, Fecit et altare thymiamatis de lignis setim, per quadrum singulos habens cubitos, et in altitudine duos: e cujus angulis procedebant cornua. Vestivitque illud auro purissimo cum craticula ac parietibus et cornibus. Fecitque ei coronam aureolam per gyrum, et duos annulos aureos sub corona per singula latera, ut mittantur in eos vectes, et possit altare portari. Ipsos autem vectes fecit de lignis setim, et operuit laminis aureis. Composuit et oleum ad sanctificationis unguentum, et thymiama de aromatibus mundissimis opere pigmentarii.
[13] Rito di purificazione che si mantiene fra i Musulmani prima di entrare nelle Moschee e fra i cattolici in forma simbolica nel fonte battesimale, che riprende il battesimo di Gesù per mano di Giovanni. L’acqua nella conca rappresenta nel Vecchio Testamento il filo azzurro del Tabernacolo e nel Nuovo Testamento il battesimo di Gesù che prende su di sé i peccati dell’uomo (Matteo 3:15, 1 Pietro 3:21).
[14] La prima copertura era fatta di tende di bisso ritorto tessute con disegni artistici di cherubini di filo azzurro, porpora, e scarlatto. Il Messia sarebbe venuto attraverso il filo azzurro, porpora, e scarlatto e il bisso ritorto e così avrebbe salvato tutti coloro che credono in lui dai peccati e dalla condanna. La seconda era fatta di la di capra.
[15] La terza copertura era fatta di pelli di montone tinte di rosso. Questo manifesta che il Messia sarebbe stato crocifisso, e in tal modo sarebbe diventato l'offerta sacrificale per i peccati del Suo popolo. La quarta copertura del Tabernacolo era fatta di pelli di tasso. Queste mostrano Gesù che si abbassò fino al livello degli esseri umani per salvarci dai peccati del mondo.
[16]Kodesh Hakodashim. La tenda nel suo interno era divisa in due da un telo dove erano raffigurati due cherubini, il primo era detto "Luogo santo", ove leviti e sacerdoti potevano accedere per i vari servizi, il secondo era chiamato "sancta santorum", riservato ai sacerdoti.
[17]Thymiama (θυμίαμα), generico profumo, qui incenso (incensum) che dalla regione di provenienza si chiamava anche libanos (λίβανος). Nell’uso originario il participio era riferito al sostantivo tus (thus, - turis, nome originario dell’incenso in latino, da thuos (θύος), che deriva dal verbo thuein (θύειν), “offrire un sacrificio d’incenso”, “sacrificare” (θύμος, cf. latino fumus, animo “spirito”, θύμον “timo”, la pianta aromatica mediterranea che si bruciava durante i sacrifici, e θυΐα “tuja” l’albero mediterraneo dal prezioso legno odoroso. Dal nome latino turibolum, “turibolo o incensiere”, e turiferario, il ministrante che nella liturgia cattolica ha l’incarico di portare il turibolo e la navicella dove si conservava l’incenso (arca turalis). Gli ortodossi li chiamano ancora thymiateria.
[18]Exod. 25, 23-30, Facies et mensam de lignis setim, habentem duos cubitos [90 cm, 3 piedi] longitudinis, et in latitudine cubitum [45 cm, 1,5 piedi], et in altitudine cubitum et semissem [67,5 cm, 2.2 piedi]. Et inaurabis eam auro purissimo: faciesque illi labium aureum per circuitum, et ipsi labio coronam interrasilem altam quatuor digitis: et super illam, alteram coronam aureolam. Quatuor quoque circulos aureos praeparabis, et pones eis in quatuor angulis ejusdem mensae per singulos pedes. Subter coronam erunt circuli aurei, ut mittantur vectes per eos, et possit mensa portari. Ipsos quoque vectes facies de lignis setim, et circumdabis auro ad subvehendam mensam. Parabis et acetabula, ac phialas, thuribula, et cyathos, in quibus offerenda sunt libamina, ex auro purissimo. Et pones super mensam panes propositionis in conspectu meo semper.
[19]Lev. 23, 27-32, Decimo die mensis hujus septimi, dies expiationum erit celeberrimus, et vocabitur sanctus: affligetisque animas vestras in eo, et offeretis holocaustum Domino. Omne opus servile non facietis in tempore diei hujus: quia dies propitiationis est, ut propitietur vobis Dominus Deus vester. Omnis anima, quae afflicta non fuerit die hac, peribit de populis suis: et quae operis quippiam fecerit, delebo eam de populo suo. Nihil ergo operis facietis in eo: legitimum sempiternum erit vobis in cunctis generationibus, et habitationibus vestris. Sabbatum requietionis est, et affligetis animas vestras die nono mensis: a vespera usque ad vesperam celebrabitis sabbata vestra.
[20]Pane di proposizione, 12 pani o pagnotte che erano sempre presenti su un tavolo appositamente dedicato, come offerta a dio e solo per i sacerdoti (Levitico 24, 5-9). In alternativa, e più appropriatamente, la traduzione sarebbe quindi pane della presenza. Sulla tavola dei pani dell'offerta erano sempre poste 12 forme di pane, e questo pane poteva essere mangiato solo dai sacerdoti (Levitico 24:5-9).
[21]Paralipomenon (2 Cronache), 3.1, Et coepit Salomon aedificare domum Domini in Jerusalem in monte Moria, qui demonstratus fuerat David patri ejus, in loco, quem paraverat David in area Ornan Jebusaei. Secondo la tradizione rabbinica Salomone lo costruì dall’833 all’826 a.C., fu distrutto 410 anni dopo.
[22]Paralipomenon (2 Cronache), 5, 13-14, Igitur cunctis pariter, et tubis, et voce, et cymbalis, et organis, et diversi generis musicorum concinentibus, et vocem in sublime tollentibus, longe sonitus audiebatur, ita ut cum Dominum laudare coepissent et dicere: Confitemini Domino quoniam bonus, quoniam in aeternum misericordia ejus: impleretur domus Dei nube, nec possent sacerdotes stare et ministrare propter caliginem. Compleverat enim gloria Domini domum Dei.
[23]Paralipomenon (2 Cronache), 3. 8-9, Fecit quoque domum Sancti sanctorum: longitudinem juxta latitudinem domus cubitorum viginti: et latitudinem similiter viginti cubitorum: et laminis aureis texit eam, quasi talentis sexcentis. Sed et clavos fecit aureos, ita ut singuli clavi siclos quinquagenos appenderent: coenacula quoque texit auro. Cf. 1 Re, 6.
[24]Paralipomenon (2 Cronache), 4, 19-22, Fecitque Salomon omnia vasa domus Dei, et altare aureum, et mensas, et super eas panes propositionis: candelabra quoque cum lucernis suis ut lucerent ante oraculum juxta ritum ex auro purissimo: et florentia quaedam, et lucernas, et forcipes aureos: omnia de auro mundissimo facta sunt. Thymiateria quoque, et thuribula, et phialas, et mortariola ex auro purissimo. Et ostia caelavit templi interioris, id est, in Sancta sanctorum: et ostia templi forinsecus aurea. Sicque completum est omne opus, quod fecit Salomon in domo Domini. Cf. 1 Re, 7, 13-51.
[25] Nell’ipotesi documentale questa descrizione è in genere indicata come Fonte Sacerdotale e si ritiene scritta nel VI o V secolo. Numerosi biblisti ritengono che la datazione sia molto più posteriore all’epoca di Mosè e che la descrizione rappresenti la struttura del Tempio di Salomone, altri l’attribuiscono ad un antico tempio premonarchico, forse il santuario di Silo. Alcuni lo ritengono un vero tabernacolo in uso già al tempo di Mosè e in anni successivi. Secondo la critica storica, la fonte antecedente Elohista descrive il Tabernacolo come semplice tenda-santuario. Julius Wellhausen ha proposto l’ipotesi documentale o documentaria, o teoria delle quattro fonti o teoria JEDP, per spiegare la formazione dei primi cinque libri del Pentateuco.Cronache II, 3, 13.
[26] Conio volgare, non latino.
[27] Atti, 3, 2, et quidam vir qui erat claudus ex utero matris suae baiulabatur quem ponebant cotidie ad portam templi quae dicitur Speciosa ut peteret elemosynam ab introeuntibus in templum. Introduceva nell’Atrio delle donne.
[28]La guerra giudaica, v, 5. 24. Si tratta di Giuseppe Flavio, storico di orgine ebraica (38-100), che in un capitolo descrive in modo particolareggiato il secondo tempio.
[29] Tardo latino gazophylacium, dal greco γαζοϕυλάκιον, composto di γάζα, «tesoro», e ϕυλάκιον «custodia». Era la cella nel tempio di Gerusalemme in cui era custodito il tesoro e pure l’arca in cui si riponevano le offerte per il tempio.
[30] Editto di Ciro del 538 a.C., ritorno a Gerusalemme di Sesbassar e poi di Zorobabele e Zaccaria, inizio della costruzione e interruzione per opposizione dei locali, ripresa nel 520 e completamento con la celebrazione della Pasqua solenne del 515 a.C. (Esdra, 1-6).
[31] Re idumeo di Giudea dal 37 al 4 a.C., celebre per la strage degli innocenti.
[32] Nel 70 da Tito, Amor ac deliciae generis humani (Svet., Tito 1).
[33] Plurali intensivi, tradotti anche “rivelazione e verità”, erano strumento o tecnica divinatoria per interpretare il volere di Dio. Ignota è l’esatto valore e un vespaio le soluzioni proposte da allora fino ad oggi. Chiave interpretativa Samuele 14,41, per i Settanta Urim Saul e Gionatan, Tummim il popolo, altri pensano che fossero inseriti nel pettorale dei sacerdoti come tavolette, altri che significassero soltanto “colpevole” e “innocente”, altri che fosse una specie di ordalia.
[34] Periodo compreso tra il VII e il VI secolo a.C., circa 587-518 a.C.
[35] Nel 328 a.C. ad imitazione di quello di Gerusalemm. Il dominio di Alessandro durò pochissimo fino alla sua morte nel 323 a.C. Dal 319 la Giudea passò sotto il dominio dei Lagidi o Tolomei. Nel 198 Antioco III dei Seleucidi sconfisse a Panion gli Egiziani e conquistò la Giudea.
[36] Ebraico Gherizim, ad ovest di Sichem. Sacrificio di Abramo in 2 Maccabei 6,2, ai suoi piedi si colloca il pozzo di Giacobbe
[37] Antioco IV (215-164 a.C.), rinominò Gerusalemme Antiochia e vi costruì il tempio a Zeus. Dal 167 al 164 profanò il tempio e operò una pesante persecuzione religiosa che portò alla rivolta dei Maccabei.
[38] Nel 128 a.C. Della famiglia degli Asmonei, re di Giuda e sommo sacerdote dal 134 a.C. nel 132 rinnovò l’alleanza con Roma. Samaria non accolse la restaurazione e nel III sec. operò uno scisma religioso, gruppo che persiste fino ad oggi.
[39] Terzo sacerdote di qquesto nome in Giudea (180-174 a.C. circa), contro di lui Eliodoro, generale di Seleuco IV, tentò di saccheggiare il tempio (2 Maccabei, 3). Fuggito in Egitto, fondò, secondo Flavio Giuseppe, il tempio scismatico di Leontopoli o Elefantina. Secondo II Maccabei si sarebbe rifugiato nel tempio di Dafne e sarebbe stato ucciso da Andronico, miniistro di Antioco IV. Lo stesso Fllavio Giuseppe in altro passo sarebbe stato il figlio a fondare il tempio. A. Momigliano (Prime linee di storia della tradizione maccabaica, Torino 1931, p. 38 ss.) e J. Wellhausen (Über den geschichtlichen Wert des zweiten Makkabäerbuchs, in Nachr. götting. Gesell. Wissensch., 1905, p. 125 ss.)propendono per la prima versione che è quella riportata qui. Documenta comunque uno scisma di linea filo-egiziana, contro il tempio seleucida di Gerusalemme.
[40]Atti apost., 6, 9-11, Surrexerunt autem quidam de synagoga, quae appellatur Libertinorum, et Cyrenensium, et Alexandrinorum, et eorum qui erant a Cilicia, et Asia, disputantes cum Stephano: et non poterant resistere sapientiae, et Spiritui, qui loquebatur. Tunc summiserunt viros, qui dicerent se audivisse eum dicentem verba blasphemiae in Moysen et in Deum.
[41]Lev. 23, 2-8, Hae sunt feriae Domini, quas vocabitis sanctas. Sex diebus facietis opus: dies septimus, quia sabbati requies est, vocabitur sanctus: omne opus non facietis in eo: sabbatum Domini est in cunctis habitationibus vestris. Hae sunt ergo feriae Domini sanctae, quas celebrare debetis temporibus suis. Mense primo, quartadecima die mensis ad vesperum, Phase Domini est: et quintadecima die mensis hujus, solemnitas azymorum Domini est. Septem diebus azyma comedetis. Dies primus erit vobis celeberrimus, sanctusque: omne opus servile non facietis in eo, sed offeretis sacrificium in igne Domino septem diebus. Dies autem septimus erit celebrior et sanctior: nullumque servile opus facietis in eo.
[42] È il luogo dei riti collettivi. Può avere più navate, distinte tra uomini e donne. L’asse principale è volta verso Gerusalemme e su questa parete c’è l’abside con l’arca dell’alleanza. Vi si trova sempre un pulpito. Sono adornate da motivi astratti, geometrici o floreali, o da miniature di antichi manoscritti ebraici.
[43]Exod. 23, 12, Sex diebus operaberis: septimo die cessabis, ut requiescat bos et asinus tuus, et refrigeretur filius ancillae tuae, et advena. Lev. 23, 3, Sex diebus facietis opus: dies septimus, quia sabbati requies est, vocabitur sanctus: omne opus non facietis in eo: sabbatum Domini est in cunctis habitationibus vestris.
[44]Num. 6, 11-13, Faciet sacerdos unum pro peccato, et alterum in holocaustum, et deprecabitur pro eo, quia peccavit super mortuo: sanctificabitque caput ejus in die illo: et consecrabit Domino dies separationis illius, offerens agnum anniculum pro peccato: ita tamen ut dies priores irriti fiant, quoniam polluta est sanctificatio ejus. Ista est lex consecrationis.
[45] Shabbàt, letteralmente “smise”, Dio si riposò il settimo giorno, perciò interruzione delle attività lavorative e dalla liturgia della sinagoga.
[46] Latino Vulgata parasceve, “preparazione”, “vigilia del sabato”.
[47] Latino, neomenia, “luna nuova”.
[48]Lev. 23, 5-8, Mense primo, quartadecima die mensis ad vesperum, Phase Domini est: et quintadecima die mensis hujus, solemnitas azymorum Domini est. Septem diebus azyma comedetis. Dies primus erit vobis celeberrimus, sanctusque: omne opus servile non facietis in eo, sed offeretis sacrificium in igne Domino septem diebus. Dies autem septimus erit celebrior et sanctior: nullumque servile opus facietis in eo. Cf. Numeri, 28, 16-19, Mense autem primo, quartadecima die mensis, Phase Domini erit, et quintadecima die solemnitas: septem diebus vescentur azymis. Quarum dies prima venerabilis et sancta erit: omne opus servile non facietis in ea. Offeretisque incensum holocaustum Domino, vitulos de armento duos, arietem unum, agnos anniculos immaculatos septem.
[49]Exod. 23, 15, Solemnitatem azymorum custodies. Septem diebus comedes azyma, sicut praecepi tibi, tempore mensis novorum, quando egressus es de Aegypto: non apparebis in conspectu meo vacuus.
[50] Paul., Prima lettera ai Corinzi, 5, 7-8, Expurgate vetus fermentum, ut sitis nova conspersio, sicut estis azymi. Etenim Pascha nostrum immolatus est Christus. Itaque epulemur: non in fermento veteri, neque in fermento malitiae et nequitiae: sed in azymis sinceritatis et veritatis.
[51] Il nome ebraico è Pèsach, cioè “passaggio” ed era uno dei tre pellegrinaggi assieme a Shavuot e Sukkot previsti al tempio di Gerusalemme. È la Pasqua ebraica, anniversario della salvezza e quindi festa dell’identità nazionale. Commemora la fuga dall’Egitto ed era una festa primaverile, legata all’economia agropecuaria e che celebrava l’inizio del raccolto dei cereali. Decorreva dal 15 al 22 del mese di Nisan (10 aprile- 18 aprile).
[52] Il 14 di Nisan si celebra in Israele il “digiuno dei primogeniti” o ta’anit bekhoròt, in commemorazione della salvezza dalla piaga dell’uccisione dei primogeniti in Egitto.
[53] Oltre alle pulizie eccezionali si usano ancora stoviglie e argenteria speciali. Anche il pasto pasquale, “seder” cioè “ordine”, ha cibi fissi e simbolici: il sedano immerso in una ciotola d’acqua salata che rievoca le loro lacrime in Egitto; le erbe amare la terribile schiavitù sotto il faraone; una mistura di mele, noci, vino e miele la malta d'argilla usata per gli edifici dei Faraoni. Protagonista il cosciotto d'agnello arrosto, come nella nostra Pasqua a ricordare l’Agnus Dei, simbolo dell’offerta; infine le uova sode pasquali, come nelle cannatedde odierne dei paesi siciliani rappresentano per loro il sacrificio per la festa del tempio. Nel piatto i cibi sono disposti in ordine: a destra la zampa anteriore dell’agnello, a sinistra l’uovo sodo, nelle altre parti la marmellata dolce, le erbe, le radici e l’azimo, al centro l’acqua salata. Durante la cena si bevono quattro coppe di vino, sulla seconda si recita l’esodo di Egitto, la narrazione della pasqua (Haggada~ shel Pesach).
[54] Durante la Festa degli Azimi o del pane azimo non si poteva mangiare o bere nulla che contenesse mais o farina lievitati. Per otto giorni si deve mangiare il pane non lievitato o “matzah” (così la maza di Archiloco, fr. 2 W, Ἐν δορὶ μὲν μοι μᾶζα μεμαγμένη, / ἐν δορὶ δ' οἶνος Ἰσμαρικός, /πίνω δ' ἐν δορὶ κεκλιμένος).
[55]Exod. 23, 16, Et solemnitatem messis primitivorum operis tui, quaecumque seminaveris in agro: solemnitatem quoque in exitu anni, quando congregaveris omnes fruges tuas de agro; 34, 22, Solemnitatem hebdomadarum facies tibi in primitivi frugum messis tuae triticeae, et solemnitatem, quando redeunte anni tempore cuncta conduntur. Num. 28, 26, Dies etiam primitivorum, quando offeretis novas fruges Domino, espleti hebdomadibus, venerabilis et sancta erit: omne opus servile non faceti in ea.
[56]Lev. 23, 27-30, Decimo die mensis hujus septimi, dies expiationum erit celeberrimus, et vocabitur sanctus: affligetisque animas vestras in eo, et offeretis holocaustum Domino. Omne opus servile non facietis in tempore diei hujus: quia dies propitiationis est, ut propitietur vobis Dominus Deus vester. Omnis anima, quae afflicta non fuerit die hac, peribit de populis suis: et quae operis quippiam fecerit, delebo eam de populo suo.
[57] Pentecoste, in ebraico Shavu’òt o festa delle settimane, 6 del 3 mese, 30 maggio - 1 giugno. Era la festa dell'Alleanza e della promessa della benedizione divina e commemorava la Rivelazione della legge sul Sinai, con il dono della Torah che prescriveva l’astensione della carne e latticini. Nella sinagoga sono letti i Dieci Comandamenti e il Libro di Ruth. È la Festa agropastorale delle primizie della terra. Anche il pasto segue uno specifico menu, frutta, pesce e piatti leggeri a base di latte, come torte di formaggio e omelette.
[58] Il Capodanno o rosh hashanà, inizio dell’anno secondo l’ordine moderno dei mesi. Era il primo del mese di Tishri.
[59] È lo Yòm Kippùr, decimo di Tishri (11-12 ottobre), la festa della riconciliazione, con digiuno solenne, espiazione e ravvedimento dai peccati di omissione. Perciò tocca la sfera interiore. Il sommo sacerdote nel tempio di Gerusalemme imponeva le mani sul capro espiatorio, al quale trasferiva tutte le colpe del popolo e lo abbandonava a morire nel deserto. Oggi dopo il riconoscimento dei peccati nella sinagoga, la cerimonia si conclude con il suono del corno di Mosè e il saluto “l'anno prossimo a Gerusalemme”.
[60]Levitico 23, 34-36, Loquere filiis Israel: A quintodecimo die mensis hujus septimi, erunt feriae tabernaculorum septem diebus Domino. Dies primus vocabitur celeberrimus atque sanctissimus: omne opus servile non facietis in eo. Et septem diebus offeretis holocausta Domino. Dies quoque octavus erit celeberrimus, atque sanctissimus, et offeretis holocaustum Domino: est enim coetus atque collectae: omne opus servile non facietis in eo. Deut. 16, 12-15,Et recordaberis quoniam servus fueris in Aegypto: custodiesque ac facies quae praecepta sunt. Solemnitatem quoque tabernaculorum celebrabis per septem dies, quando collegeris de area et torculari fruges tuas: et epulaberis in festivitate tua, tu, filius tuus et filia, servus tuus et ancilla, Levites quoque et advena, pupillus et vidua qui intra portas tuas sunt. Septem diebus Domino Deo tuo festa celebrabis in loco quem elegerit Dominus: benedicetque tibi Dominus Deus tuus in cunctis frugibus tuis, et in omni opere manuum tuarum, erisque in laetitia. Cf. Lev. 31, 10; Zech. 14. 16, 18, 19; Ezra3. 4; II Cron. 8. 13). Località Succot in Esodo 12.37; Giosuè 13, 27.
[61]Neemia, 8, 14-17, Et invenerunt scriptum in lege praecepisse Dominum in manu Moysi ut habitent filii Israel in tabernaculis, in die solemni, mense septimo: et ut praedicent, et divulgent vocem in universis urbibus suis, et in Jerusalem, dicentes: Egredimini in montem, et afferte frondes olivae, et frondes ligni pulcherrimi, frondes myrti, et ramos palmarum, et frondes ligni nemorosi, ut fiant tabernacula, sicut scriptum est. Et egressus est populus, et attulerunt. Feceruntque sibi tabernacula unusquisque in domate suo: et in atriis suis, et in atriis domus Dei, et in platea portae aquarum, et in platea portae Ephraim. Fecit ergo universa ecclesia eorum, qui redierant de captivitate, tabernacula, et habitaverunt in tabernaculis: non enim fecerant a diebus Josue filii Nun taliter filii Israel usque ad diem illum. Et fuit laetitia magna nimis.
[62]Levitico 23, 40, primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori, rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente, e gioirete davanti al Signore, vostro Dio, per sette giorni (Sumetisque vobis die primo fructus arboris pulcherrimae, spatulasque palmarum, et ramos ligni densarum frondium, et salices de torrente, et laetabimini coram Domino Deo vestro).
[63] Termine di fine XIII sec. composto greco di skené, “tenda”, e radice di pḗgnumi, “fisso, conficco”. Nota come Festa delle capanne, Festa dei tabernacoli o semplimente Tabernali, o Festa del raccolto e Festa della nostra gioia, in ebraico Sukkot, festa di pellegrinaggio di sette giorni (14-21 Tishri) o otto se fuori Israele (14-22). Commemorava la permanenza nel deserto del Sinai e celebrava la vendemmia e la fine dell’anno agricolo. La Torah prescrive un ramo di palma, uno di cedro, tre rami di mirto e due di salice.
[64]Il fascio di vegetali prescritto e agitato durante le preghiere è il Lulàa, che rappresenta i diversi tipi di uomo, riuniti sotto la capanna che è simbolo di protezione e di unione tra gli uomini: la palma è senza profumo, il mirto ha profumo, ma non sapore, e infine il cedro ha sapore e profumo.
[65] Oggi il Grande osanna o hosha’nà rabbà, si celebra il 21 Tishri.
[66] Dal greco paraleipomena, ciò che è stato tralasciato, sono i due libri delle Cronache. Qui 2 Cronache, 7, 4-5. Rex autem et omnis populus immolabant victimas coram Domino. Mactavit igitur rex Salomon hostias, boum viginti duo millia, arietum centum viginti millia: et dedicavit domum Dei rex, et universus populus.
[67]Esdra, 6, 14-17, et aedificaverunt et construxerunt, jubente Deo Israel, et jubente Cyro, et Dario, et Artaxerxe regibus Persarum: et compleverunt domum Dei istam, usque ad diem terium mensis Adar, qui est annus sextus regni Darii regis. Fecerunt autem filii Israel sacerdotes et Levitae, et reliqui filiorum transmigrationis, dedicationem domus Dei in gaudio. Et obtulerunt in dedicationem domus Dei, vitulos centum, arietes ducentos, agnos quadringentos, hircos caprarum pro peccato totius Israel duodecim, juxta numerum tribuum Israel.
[68]1 Machab. 4, 58-59, Et facta est laetitia in populo magna valde, et aversum est opprobrium gentium. Et statuit Judas, et fratres ejus, et universa ecclesia Israel, ut agatur dies dedicationis altaris in temporibus suis ab anno in annum per dies octo a quinta et vigesima die mensis Casleu, cum laetitia et gaudio.
[69] Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XII, 324-325, «Provavano tanto piacere nel rinnovarsi delle loro consuetudini e nell’avere inaspettatamente riacquistato dopo tanto tempo il diritto di tenere la loro celebrazione, che imposero per legge ai loro discendenti di celebrare il ripristino del servizio del tempio per otto giorni. E da quel tempo fino al presente celebriamo questa festa, che chiamiamo festa delle Luci, dandole questo nome, suppongo, per il fatto che avevamo riavuto il diritto di adorare quando meno ce lo aspettavamo».
[70]Giud. 11, 39-40, Expletisque duobus mensibus, reversa est ad patrem suum, et fecit ei sicut voverat, quae ignorabat virum. Exinde mos increbruit in Israel, ut consuetudo servata est: ut post anni circulum conveniant in unum filiae Israel, et plangant filiam Jephte Galaaditae diebus quatuor.
[71]Judith, 16, 31, Dies autem victoriae hujus festivitatis ab Hebraeis in numero sanctorum dierum accipitur, et colitur a Judaeis ex illo tempore usque in praesentem diem.
[72]2 Maccabei, 15,33-37, Linguam etiam impii Nicanoris praecisam jussit particulatim avibus dari: manum autem dementis contra templum suspendi. Omnes igitur caeli benedixerunt Dominum, dicentes: Benedictus, qui locum suum incontaminatum servavit. Suspendit autem Nicanoris caput in summa arce, ut evidens esset, et manifestum signum auxilii Dei. Itaque omnes communi consilio decreverunt nullo modo diem istum absque celebritate praeterire: habere autem celebritatem tertiadecima die mensis Adar, quod dicitur voce syriaca, pridie Mardochaei diei.
[73]La festa delle Encenieo dedicazione o delle’Hanukkàh o Channukah o “inaugurazione”, della Dedicazione o delle Luci., cade il 25 di Kislew (fine Dicembre) e ricorda la riconsacrazione del Tempio da parte di Giuda Maccabeo nel 164 a.C. (1 Mac. 4; cfr. Gv. 10, 22). Giuseppe Flavio la chiama “festa dei lumi” per le grandi fiaccolate.
[74] La purificazione del Tempio con olio puro si celebra ancora oggi in parallelo con il nostro Natale (25 Kislev nono mese – 2 o 3 Tevet, 24 dicembre-1 gennaio, otto giorni tra dicembre e gennaio) e con scambio di doni e gioia per i bambini che ricevono trottoline con le iniziali «Un grande miracolo è avvenuto». In uno degli otto bracci del candelabro (hanukkah) si accende ogni giorno una candela fino a che l’ottava sera sono tutti accesi, il nono braccio è lo shammash, il servitore, che serve per accendere gli altri. Commemora la Dedicazione del Tempio di Gerusalemme nel 164 a.C. ad opera di Giuda Maccabeo, che sconfisse l’esercito greco-siriaco di Antioco Epifane. Ne parla Giov. 10, 22-24, «Ci fu allora la (festa della) Dedicazione a Gerusalemme. Era inverno e Gesù passeggiava nel tempio nel portico di Salomone. Allora lo circondarono i giudei e gli dicevano: Fino a quando ci togli la vita? Se tu sei il Cristo, diccelo con franchezza».
[75]Gios. 24, 26-27, Scripsit quoque omnia verba haec in volumine legis Domini: et tulit lapidem pergrandem, posuitque eum subter quercum, quae erat in sanctuario Domini: et dixit ad omnem populum: En lapis iste erit vobis in testimonium, quod audierit omnia verba Domini, quae locutus est vobis: ne forte postea negare velitis, et mentiri Domino Deo vestro.
[76]Deuter. 34, Morte di Mosè sul monte Nebo nelle steppe di Moab.
[77] I fatti si devono collocare intorno al XIII secolo a.C.
[78]Difficile ricavare l’abbraviazione del manoscritto. In effetti la citazione si trova Giosuè, 4, 9 è precisamente questa: Alios quoque duodecim lapides posuit Josue in medio Jordanis alveo, ubi steterunt sacerdotes, qui portabant arcam foederis: et sunt ibi usque in praesentem diem. E poi ancora Giosuè 5, 9-11, Dixitque Dominus ad Josue: Hodie abstuli opprobrium Aegypti a vobis. Vocatumque est nomen loci illius Galgala, usque in praesentem diem. Manseruntque filii Israel in Galgalis, et fecerunt Phase quartadecima die mensis ad vesperum in campestribus Jericho: et comederunt de frugibus terrae die altero, azymos panes, et polentam ejusdem anni.
[79] Cf. 1 Samuele 11,14-15, Venite, et eamus in Galgala, et innovemus ibi regnum. Et perrexit omnis populus in Galgala, et fecerunt ibi regem Saul coram Domino in Galgala, et immolaverunt ibi victimas pacificas coram Domino. Et laetatus est ibi Saul, et cuncti viri Israel nimis; 1 Samuele 13, 5-12, qui Saul disubbidisce a Samuele e non attende il suo arrivo per fare l’olocausto. Giosuè 5, 8-10, Postquam autem omnes circumcisi sunt, manserunt in eodem castrorum loco, donec sanarentur. Dixitque Dominus ad Josue: Hodie abstuli opprobrium Aegypti a vobis. Vocatumque est nomen loci illius Galgala, usque in praesentem diem. Manseruntque filii Israel in Galgalis, et fecerunt Phase quartadecima die mensis ad vesperum in campestribus Jericho: et comederunt de frugibus terrae die altero, azymos panes, et polentam ejusdem anni.
[80]Judex. 1, 21, Jebusaeum autem habitatorem Jerusalem non deleverunt filii Benjamin: habitavitque Jebusaeus cum filiis Benjamin in Jerusalem, usque in praesentem diem.
[81] Di Gàlgala si parla nei libri di Giosuè e 1 Samuele.
[82] Considera pertanto come unico libro il Pentateuco, secondo il libro di Giosuè.
[83]II Samuele, 5, 6-8. Cf. la risposta di David sui ciechi e sugli zoppi.
[84]Ruth, 4, 21-22, Salmon genuit Booz, Booz genuit Obed, Obed genuit Isai, Isai genuit David.
[85] Il libro di Samuele.
[86] II Samuele.
[87]Teodoreto di Antiochia di Siria, 393-458 circa, vescovo siro e ultimo teologo della scuola di Antiochia, amico di Nestorio, avversario di Cirillo, scrisse opere dogmatiche polemiche, apologetiche esegetiche. Il passo si trova nelle Quaestiones in libros Regnorum et Paralipomenon, in forma di domanda e risposta. Il testo greco è ΤΟΥ ΜΑΚΑΡΙΟΥ ΘΕΟ∆ΩΡΗΤΟΥ ΕΙΣ ΤΑ ΖΗΤΟΥΜΕΝΑ ΤΩΝ ΒΑΣΙΛΕΙΩΝ ΚΑΙ ΤΩΝ ΠΑΡΑΛΕΙΠΟΜΕΝΩΝ. ΠΡΟΛΟΓΟΣ, Πλεῖστοι προφῆται γεγένηνται, ὧν τὰς μὲν βίβλους οὐχ εὕρομεν, τὰς δὲ προσηγορίας ἐκ τῆς τῶν Παρα λειπομένων μεμαθήκαμεν ἱστορίας. Τούτων ἕκαστος εἰώθει συγγράφειν ὅσα συνέβαινε γίνεσθαι κατὰ τὸν οἰκεῖον καιρόν. Αὐτίκα γοῦν καὶ ἡ πρώτη τῶν Βασιλειῶν, καὶ παρ' Ἑβραίοις, καὶ παρὰ Σύροις, προφητεία Σαμουὴλ ὀνομάζεται. Ἀλλὰ τοῦτο γνῶ ναι ῥᾴδιον τῷ βουλομένῳ τὸ προειρημένον ἀναγνῶ ναι βιβλίον. Οἱ τοίνυν τῶν Βασιλειῶν τὴν βίβλον συγγεγραφότες, ἐξ ἐκείνων τῶν βιβλίων τὰς ἀφορ μὰς εἰληφότες, μετὰ πλεῖστον συνέγραψαν χρόνον. Πῶς γὰρ οἷόν τε ἦν τῷ Σαοὺλ, ἢ τῷ ∆αβὶδ συνηκ μακότι τὰ ἐπὶ Ἐζεκίου καὶ Ἰωσίου γεγονότα συγγράψαι· καὶ τὴν τοῦ Ναβουχοδονόσορ στρατιὰν, καὶ τῆς Ἱερουσαλὴμ τὴν πολιορκίαν, καὶ τοῦ λαοῦ τὸν ἀνδραποδισμὸν, καὶ τὴν εἰς Βαβυλῶνα μετά στασιν, καὶ τοῦ Ναβουχοδονόσορ τὴν τελευτήν; ∆ῆ λον τοίνυν, ὡς τῶν προφητῶν ἕκαστος συνέγραψε τὰ ἐν τοῖς οἰκείοις πεπραγμένα καιροῖς. Ἄλλοι δέ τινες ἐκεῖνα συναγαγόντες, τὴν τῶν Βασιλειῶν συντε θείκασι βίβλον. Καὶ αὖ πάλιν, τῶν ὑπὸ τούτων πα ραλειφθέντων ἕτεροί τινες ἱστοριογράφοι γεγένην ται· καὶ τὴν παρὰ σφῶν συγγραφεῖσαν Παραλειπομένων προσηγόρευσαν βίβλον· ὡς τὰ παρὰ τῶν προτέρων παραλειφθέντα διδάσκουσαν.
[88] La lunga citazione del vescovo Teodoreto, tradotta in latino, dimosta la straordinaria cultura di questo compilatore.
[89] Ciro, re persiano, che sostituisce l’impero babilonese, concede la libertà nel 539 a.C.
[90]Boccaccio, Genealogia deorum gentilium, VI, 4, Ganimede, Quod autem deorum pincerna factus sit, ideo dictum est, quia inter celi ymagines figuratus forsan ad suorum solatium eam esse dicunt, quam vocamus Aquarium.
[91]Esther, 16, 21-23, Hanc enim diem, Deus omnipotens, moeroris et luctus, eis vertit in gaudium. Unde et vos inter ceteros festos dies, hanc habetote diem, et celebrate eam cum omni laetitia, ut et in posterum cognoscatur omnes, qui fideliter Persis obediunt, dignam pro fide recipere mercedem; qui autem insidiantur regno eorum, perire pro scelere.
[92]Job, 1, 3, Et fuit possessio ejus septem millia ovium, et tria millia camelorum, quingenta quoque juga boum, et quingentae asinae, ac familia multa nimis: eratque vir ille magnus inter omnes orientales.
[93] Il libro inizia: Vir erat in terra Hus, nomine Job; et erat vir ille simplex, et rectus, ac timens Deum.
[94]iii-ii sec. a. C.
[95] L’anonimo autore ebreo si colloca intorno al V secolo a.C.
[96] Zona costiera degli Aramei.
[97]Prov. 25, 1-2, Hae quoque parabolae Salomonis, quas transtulerunt viri Ezechiae regis Juda. Gloria Dei est celare verbum, et gloria regum investigare sermonem.
[98] Il Libro dei Salmi, o Salterio, dal greco, Ψαλμοί, psalmòi, in ebraicotehillìm o tehilim. La redazione definitiva dovette essere compiuta in Giudea, forse alla fine del III sec. a.C., raccogliendo canti di ignoti autori e di diversa orgine a cominciare dall’XI secolo a.C. Il 104 sembra il più antico, perché riprende l’egiziano Inno al Sole del XIV sec. a.C. Sono 150 capitoli per inno, di tema vario, lode, supplica, sentenze.
[99] In ebraico meshalim, “tradizione”, più complesso dal latino proverbium, perché comprende poemi di argomento religioso e morale, satire, paragoni, oracoli, massime popolari, condotta sessuale e consigli matrimoniali sulla donna ideale. Le parti 2 e 5 portano il nome di Sentenze di Salomone (970-930 a.C.), anonime alcune, altri autori citati nel testo (6 Agur, 8 Lamuele). Sono nove collezioni di proverbi che vanno dal X al V secolo a.C. Cf. Voltaire, Dizionario filosofico, s. v. Salomone, «Una raccolta di massime triviali, basse, incoerenti, senza gusto, senza scelta e senza disegno. Possiamo davvero credere che un re illuminato abbia composto una raccolta di sentenze delle quali non se ne trova una che accenni al modo di governare, alla politica, ai costumi dei cortigiani e agli usi della corte? Vi si trovano interi capitoli in cui si parla soltanto di quelle prostitute che invitano i passanti ad andare a letto con loro.»
[100] L’opera ci è giunta sotto il nome di Qohelet, tradotto in Ecclesiaste, e contiene riflessioni sull’esistenza umana di un ebreo vissuto verso la fine del III secolo a.C. Sono riportate senza ordine e organicità e devono la loro fama anche alla formula infinitamente pessimistica «Parole di Qohelet, figlio di David, re di Gerusalemme. Vanità delle vanità, dice Qohelet, vanità delle vanità: tutto è vanità» (1, 1-2; 12,8).
[101] 4, 8, Veni de Libano, sponsa mea: veni de Libano, veni, coronaberis.
Il nome del libro, con la ripetizione della parola cantico, secondo il modo di costruire le frasi degli antichi ebrei, è da considerarsi come un superlativo e andrebbe reso come Il più sublime tra i cantici. S tratta di un testo laico derivato e copiato da alcuni poemi della Mesopotamia. È un canto nuziale entrato “a furor di popolo” nel canone biblico, anche se non vi è mai menzionata la parola Dio. Si conosce anche come Cantico di Salomone, al quale si attribuisce, avendolo scritto durante la costruzione del Tempio. Ma più che al X sec. a.C pare che si debbe attribuire ad un anonimo del IV secolo a.C. con l’assemblaggio di poemi vari dell’area mesopotamica. Per il prestigio del re anche il Libro della Sapienza del I sec. a.C. è stato a lui attrobuito.
[102] È evidente che si tratta di una lettura esclusivamente cristiana del misterioso cantico antico.
[103] Scritto in greco da un ebreo residente in Egitto intorno al 50 a.C. con titolo fittizio.
[104]Appartiene al genere di poesie gnomica e didascalica, basata su precetti e sentenze. Somiglia perciò ai Proverbi, anche se è più lungo di circa due terzi, più ordinato nello sviluppo dell’argomento con più ampi intermezzi lirici. È in dodici sezioni disuguali, che furono singole composizioni scritte in tempi diversi da uno o diversi autori.
[105] 1, 1-2, Primum quidem sermonem feci de omnibus, o Theophile, quae coepit Jesus facere, et docere usque in diem, qua praecipiens Apostolis per Spiritum Sanctum, quos elegit, assumptus est. Cf. Lu 24:47; Gv 14:12; Is 49:6). Introduzione. Ascensione di Gesù Lu 1:1-4; 24:33-51 (Mt 28:18-20; Mr 16:15-19) Ef 4:8-10,
[106] Tertull., De pudicitia, XX, 2, Extat enim et Barnabae titulus ad Hebraeos, a Deo satis auctorati uiri, ut quem Paulus iuxta se constituerit in abstinentiae tenore: Aut ego solus et Barnabas non habemus operandi potestatem? Et utique receptior apud ecclesias epistola Barnabae illo apocrypho Pastore moechorum.
[107] Nella versione greca dei Settanta fu tradotto 'Εκκλησιαστής il nome ebraico Qohelet, che ricorreva spesso nome dell’autore (I,1, 2; VII, 27; VIII, 10; XII, 12). Oscuri origine e significato. In quanto participio singolare (radice qahal “assemblea, adunanza”), significa “chi tiene assemblea”. Difficile inquadarlo in un genere letterario, svolge una serie di riflessioni sulla miseria umana, senza apparente successione, nella linea delle gnomai greche, di forma sentenziosa. Celebre l’incipit, «Vanità di vanità, vanità di vanità e tutto è vanità. Che cosa avanza all’uomo di tutto il suo affaticarsi quaggiù?» (I, 2-3), ripreso in 12, 8. In genere si colloca intorno al 200 a.C. Improbabile l’attribuzione a Salomone (X sec. a.C.). Cf. A. B. McNeile, An introd. to Ecclesiastes, Cambridge 1904.
[108] Così chiamato dai Latini fin dal sec. III, ma dai Greci e dagli Ebrei più rettamente detto Sapienza (o Sentenze) di Gesù figliuolo di Sirac o semplicemente Sirac, uno di quelli che i cattolici dicono deutero-canonici, i protestanti e i giudei apocrifi. Detto anche Siracide, dal nome dell’autore (anche Ben Sirach). Perduto il testo ebraico, il nipote tradusse in greco l’opera del nonno del 180 nel 132 a.C.
[109] Con questo chiarimento vuol confermare che l’analisi delle opere verteva soprattutto sull’attribuzione di paternità. Tralascia pertanto i profeti minori successivi, i cosiddetti profeti minori, da Osea fino a Malachia, mantenuti nella Bibbia cattolica, ma omessi dai non cattolici. Questi riferiscono il loro nome come titolo e autore.
[110] È certo che non è sua, ma di un ignoto autore della cerchia dei discepoli. Cf. H.W.Attridge, La Lettera agli Ebrei. Commento storico esegetico (= Letture Bibliche 12), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1999, 723 pp.
[111]Esauriente è l’analisi di Origene in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiasticaVI, 25,11-14, p. 112, che ne riporta due estratti delle Omelie sull’epistola: «ὅτι ὁ χαρακτὴρ τῆς λέξεως τῆς Πρὸς Ἑβραίους ἐπιγεγραμμένης ἐπιστολῆς οὐκ ἔχει τὸ ἐν λόγῳ ἰδιωτικὸν τοῦ ἀποστόλου, ὁμολογήσαντος ἑαυτὸν ἰδιώτην εἶναι τῷ λόγῳ, τοῦτ᾿ ἐστὶν τῇ φράσει, ἀλλ᾿ ἐστὶν ἡ ἐπιστολὴ συνθέσει τῆς λέξεως Ἑλληνικωτέρα, πᾶς ὁ ἐπιστάμενος κρίνειν φράσεων διαφορὰς ὁμολογήσαι ἄν. πάλιν τε αὖ ὅτι τὰ νοήματα τῆς ἐπιστολῆς θαυμάσιά ἐστιν καὶ οὐ δεύτερα τῶν ἀποστολικῶν ὁμολογουμένων γραμμάτων, καὶ τοῦτο ἂν συμφήσαι εἶναι ἀληθὲς πᾶς ὁ προσέχων τῇ ἀναγνώσει τῇ ἀποστολικῇ» («Lo stile dell'Epistola agli Ebrei non ha il carattere speciale di quello dell'apostolo Paolo... L'Epistola è scritta in miglior greco come riconoscerà ogni persona avvezza a giudicare delle diversità dello stile. D'altra parte ognuno che attenda alla lettura degli scritti degli apostoli riconoscerà del pari che i pensieri sono mirabili e non sono per nulla inferiori a quelli degli scritti notoriamente apostolici); e aggiunge:«ἐγὼ δὲ ἀποφαινόμενος εἴποιμ᾿ ἂν ὅτι τὰ μὲν νοήματα τοῦ ἀποστόλου ἐστίν, ἡ δὲ φράσις καὶ ἡ σύνθεσις ἀπομνημονεύσαντός τινος τὰ ἀποστολικὰ καὶ ὥσπερ σχολιογραφήσαντός τινος τὰ εἰρημένα ὑπὸ τοῦ διδασκάλου. εἴ τις οὖν ἐκκλησία ἔχει ταύτην τὴν ἐπιστολὴν ὡς Παύλου, αὕτη εὐδοκιμείτω καὶ ἐπὶ τούτῳ· οὐ γὰρ εἰκῇ οἱ ἀρχαῖοι ἄνδρες ὡς Παύλου αὐτὴν παραδεδώκασιν. τίς δὲ ὁ γράψας τὴν ἐπιστολήν, τὸ μὲν ἀληθὲς θεὸς οἶδεν, ἡ δὲ εἰς ἡμᾶς φθάσασα ἱστορία ὑπὸ τινῶν μὲν λεγόντων ὅτι Κλήμης, ὁ γενόμενος ἐπίσκοπος Ῥωμαίων, ἔγραψεν τὴν ἐπιστολὴν, ὑπὸ τινῶν δὲ ὅτι Λουκᾶς, ὁ γράψας τὸ εὐαγγέλιον καὶ τὰς Πράξεις». ἀλλὰ ταῦτα μὲν ὧδε ἐχέτω («Se io dovessi manifestare la mia opinione direi che i concetti (ta nohmata) sono dell'Apostolo; ma la lingua e la composizione (frasiV, sunqeiV) sono di uno che ricordava e notava le cose dette dal maestro. Se dunque alcuna chiesa ritiene quest'Epistola come di Paolo, sia ella approvata anche in questo; poiché non senza ragione gli antichi l'hanno tramandata come di Paolo. Chi poi abbia scritto l'Epistola, Dio solo lo sa in modo certo; ma stando ai racconti giunti fino a noi, secondo gli uni l'avrebbe scritta Clemente divenuto vescovo dei Romani, secondo gli altri Luca, lo scrittore del Vangelo e dei Fatti». Ma su questo basta).
[112] Lo attribuì a Barnaba Tertulliano, Origene a Clemente di Roma. Clemente Alessandrino lo attribuì all'evangelista Luca, ripreso da Origine, Eusebio di Cesarea (IV, 20,3) ad un certo Gaio. Fra i moderni Martin Lutero (Werke XLIV, 709) propose il predicatore Apollo, giudeo di Alessandria di cui si parla in Atti degli Apostoli (18, 24-28), Adolf von Harnak propose Priscilla. La serie di ipotesi offre altri nomi, Silvano, Timoteo, Aristione, Filippo, Maria.
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